27/9/2011
FILOSOFIA (amore per la sapienza) MORALE (Chitussi)
Corso dedicato al rapporto maestro e allievo attraverso lo studio di 4 classici della filosofia:
Platone (“Gorgia” 386 ac → dialogo sulla retorica: Socrate affronta il tema del valore della filosofia) ED. LATERZA (Adorno)
Socrate spinge il proprio interlocutore a dire la verità facendo piazza pulita rispetto a ciò che di superfluo ognuno ha con se stesso: chi si comporta in maniera concorde con se stesso si trova meglio, vive meglio.
Socrate personaggio realmente esistito, ma che viene riferito da Platone e quindi c'è sempre una differenza tra il pensiero di Platone e quello che viene attribuito a Socrate.
“Lachete” → Platone usa il termine “Cura di sé” → fondamentale per capire Foucault.
Agostino (“De Magistro” 389 dc) (ED. BOMPIANI contenuta nel volume “Il maestro e la parola” a cura di Maria Bettetini. Dialogo “Il maestro”) dialogo in cui il protagonista è Agostino stesso. Adeodato è il figlio di Agostino (Il dialogo è tratto dal platonismo). Agostino ebbe realmente dialoghi con alcuni discepoli tra cui suo figlio → filosofia sul linguaggio → noi apprendiamo soltanto volgendoci a noi stessi, non da insegnamenti esterni.
Severino Boezio (“La consolazione della Filosofia”) (ED. EINAUDI “La consolazione DI Filosofia” Tradotta da Chitussi)→ Ancora un dialogo (tipo di scrittura filosofica che attualmente non esiste più). Ci si prende cura della felicità dell'interlocutore → insegna a cambiare il proprio modo di vivere e e vedere il mondo.
Due personaggi → maestro e allievo. Il maestro è “Filosofia”...donna saggia che va a trovare Boezio, condannato a morte per un crimine non commesso. Ha perso tutto, è disperato e Filosofia lo consola. Mostrando a Boezio che deve trovare dentro di sé le ragioni per vivere felicemente.
Wittgenstein (“La conferenza sull'etica”)
Due di questi testi per l'esame + Ludwig Wittgenstein (più importante filosofo del linguaggio del diciannovesimo secolo) obbligatorio. Non è un dialogo, ma una conferenza tenuta da W. Tra il 1929 e il 1930 a Cambridge a studenti. Mette in dubbio la possibilità del linguaggio di parlare di Etica: il linguaggio è troppo povero.
La morale e l'etica → è possibile parlare di qualcosa che ha a che vedere con il non fattuale? Se lo facciamo, forse diciamo cose prive di senso. Analizza quindi il limite del linguaggio: cita la sua “esperienza per eccelenza” → “Mi meraviglio dell'esistenza del mondo” - Stupore felice – senso di sicurezza -
Egli parla di limiti “scientifici” del linguaggio … la poesia è un “non senso”. Non posso impedire di provare stupore rispetto alla meraviglia che provo, ma il linguaggio non riesce a tradurre questo.
Sensazione di poter affrontare qualsiasi cosa...mi sento sicuro e nulla può mettermi in crisi. Modo di vedere le cose molto vicina alla dottrina post socratica.
I cinici → si mettevano alla prova provando a se stessi di poter vincere la prova.
La filosofia per Wittgenstein è una malattia → tentativo di dare spiegazione a cose, attraverso il linguaggio, non porta a nulla. Non è possibile. La filosofia è da abbandonare. L'abbandona e va a fare il maestro in svizzera (ma menerà i bambini). Tornando alla filosofia parlerà della “teoria dei giochi linguistici” → le parole possono essere esaurienti all'interno di contesti specifici (Giochi)
Noi studieremo le pratiche del rapporto maestro – allievo → ci interesserà sapere “come” Platone, Boezio e Agostino insegnano...la forma del loro agire → in nessun di questi casi il maestro insegna contenuti ai propri allievi → si limita a modificare il modo di vedere il mondo del proprio allievo. Il maestro dialogando con l'allievo, indagando assieme a lui la verità, modifica la sua maniera di vedere le cose. Non si esce dal dialogo con più sapere, ma guardando le cose in modo diverso...magari arrivando a percepire che la vita che sto vivendo non va bene...per me.
Pierre Hadot (morto nel 2010) e Michel Foucault (morto nel 1984)
Come questi autori hanno rivoluzionato il modo d'intendere la filosofia del passato: non più qualcosa di libresco, ma filosofia come pedagogia e pratica. Modi di prendersi cura di se stessi.
Modo attuale di studiare i rapporti (tra paziente e analista, tra filosofi e discepoli, tra maestro e allievo).
Si riscopre il legame tra filosofare e la pratica dopo tanta obnubilazione. Nell'antichità era questo.
Hadot e Foucault riprendono questo modo di guardare e vivere la filosofia.
Pierre Hadot “Gli esercizi spirituali e la filosofia antica” Ed. Einaudi - (frequentanti portano solo il capitolo “Gli esercizi spirituali e la filosofia antica”)
“Wittgenstein e i limiti del linguaggio” un capitolo solo o due.
Studia Wittgenstein quando W. non lo conosceva nessuno → leggendo Wittgenstein si rende conto che il modo in cui lui e gli altri filosofi guardavano alla filosofia era sbagliato: un discorso ha senso solo se lo caliamo nel contesto in cui il discorso nasce → storici della filosofia antica (avevano a che fare con testi incompleti, lontani, ecc.) dovevano considerare i testi antichi come testi nati per essere esposti a lezione dai maestri. Non si può cercare di conciliare le contraddizioni, poiché non è sempre possibile. Da lì nasce la teoria degli esercizi spirituali...
Fiolosofia → modo di vivere e cambiare il mondo → legare filosofia e prassi.
La prospettiva di Foucault è molto diversa dalla prospettiva di Hadot.
Hadot → occorre riscoprire il legame tra filosofia e la prassi riscoprendo la filosofia antica (Nietsche, Bergson, Sartre, ecc. → filosofi che hanno tentato di riscoprire legame con la vita). Modello nostalgico.
Foucault → ci sono pratiche (rapporto tra analista e paziente, tra maestro e allievo, ecc.) che possono essere comprese a partire dalla loro genealogia. Per capire occorre comprendere da dove nasce il rapporto, esempio, medico paziente… occorre riprendere il rapporto maestro – allievo dell'antichità non per esercizio, ma perché è importante per capire la funzione che ha. Se capiamo perché esistono i manicomi, a un certo punto della storia, possiamo capire se hanno senso oppure no.
Anche la confessione può essere l'origine del rapporto analista paziente.
Il lavoro socratico → “è più felice chi subisce l'ingiustizia rispetto a chi la commette”.
Hadot → attenzione, diffidate dei maestri che vi trasmettono solo un sapere.
Foucault → attenzione, i maestri che vi trasmettono sapere sono funzionali al potere. Per capire occorre sapere l'origine delle cose, la genealogia del carcere ad esempio... Occorre arrivare a capire la storicità delle situazioni e il perché della loro esistenza. Molto più radicale di Hadot.
“Detti e Scritti” di Foucault → insieme di saggi nel tempo di Foucault.
Biopolitica → analisi del governo sui corpi (carcere, manicomi, ecc.).
“Il coraggio della verità” → Foucault → davvero il filosofo che ha cambiato le cose. La critica divide tra un primo Foucoult che si è occupato di capire e sapere le pratiche contemporanee (carcere, manicomi, scuole), del problema del potere che governa le nostre vite e i nostri corpi.
Ha scritto anche uno studio sull'omosessualità.
Un secondo Foucoult → quello che ha cominciato a parlare della “cura di sé” occupandosi più del mondo antico → Socrate, Cinismo (scuole antiche d'indirizzo socratico). Concetto di Parresia:
Jack Rancier (“Il maestro ignorante”)
Anna Hareb (il problema del pensiero come dialogo...anche tra sé e sé).
29/9/2011
Relazione stretta tra filosofia e cura di sé.
Il parresiasta è colui che mette a rischio la propria vita per far scoprire all'altro la verità su se stesso. Il primo e secondo Foucault sono più vicini di quanto non si pensi: il secondo si occupa di Parresia stabilendo la genealogia di alcune pratiche, analisi, psichiatria, confessione → parliamo sostanzialmente della stessa cosa: “la verità su se stessi”...è possibile dire la verità? Foucault si rivolge al passato alla ricerca delle pratiche che spingevano a dire la verità su se stessi → Platone.
Hadot → attenzione filosofi: vi siete allontanati dalla filosofia del passato → ricerca della verità. La filosofia del passato era piena di contraddizioni (i nuovi filosofi contemporanei erano molto coerenti con loro stessi) → la filosofia nasceva dal dialogo e quindi non era mai uguale a se stessa.
Pensare la filosofia in questo modo vuol dire pensare a una filosofia intimamente legata alla prassi
La filosofia si occupava semplicemente del modo di vedere le cose imparando a liberarsi dai pensieri indotti → riscoperta di un modo diverso di fare filosofia rispetto al contemporaneo, più concreto “interessato alla vita delle persone” → sguardo al passato del fare filosofia, recuperando il rapporto con la vita degli uomini.
Foucault dice invece → siamo abituati alla presenza di manicomi, carcere, analisti, psichiatri, ecc. Possiamo imparare a capire la presenza di tutte queste pratiche guardando alla genealogia del perché tutto ciò che c'è oggi ha un'origine pratica legata al passato.
Importanza, per tutte queste questioni, della dimensione linguistica. Ancor più perché a noi interessa il ruolo del maestro.
Nella filosofia antica l'orizzonte linguistico è una parola parlata e non scritta; dialogo.
Racconto di Hadot: Eros è nato dal connubio tra ricchezza e povertà.
Compito del dialogo consiste nel sottolineare i limiti del linguaggio. Il dialogo produce risultati concreti: anche eros aiuta le anime a migliorare se stesse. Per questo si concentra sul dialogo tra analista e paziente, poiché quello è un dialogo che modifica le cose.
Socrate spinge ad ammettere la propria ignoranza.
Tutti i dialoghi aiutano l'interlocutore a uscire dalla propria situazione → è nel linguaggio che risiede il legame strettissimo tra filosofia e pratica.
Socrate → vita tormentata poiché attraversa momenti decisivi della vita ateniese. Età Periclea inizia nel 461 ac e finisce nel 429 ac, età di splendore → politico, culturale, artistico. E' l'età della democrazia → sono cittadini che prendono le decisioni per la collettività (solo alcuni cittadini, facoltosi, uomini, ateniesi). Questo cambia il modo di concepire la partecipazione e il senso civico. La vita di Socrate è assolutamente consonante con la vita della propria città. E' molto conosciuto ed è molto vicino ai filosofi che si occupano di fisica → filosofi della natura → si interessa di cose relative al concreto. Ma in questi anni nasce anche la filosofia sofistica → nasce in questo contesto in cui aumenta la rilevanza di temi legati alla umanitas.
I sofisti insegnano ai giovani (sono soprattutto educatori dei futuri condottieri della città) ad essere condottieri della polis, governanti della città. Devono insegnare soprattutto le abilità o le virtù. Lo fanno attraverso la retorica o oratoria → anche la tecnica che i giovani useranno per svolgere la loro attività politica. Non insegna a vivere bene, ma a vincere nelle discussioni.
Socrate dirà:”attenzione ciò che voi insegnate non è la vera virtù. Virtù non è solo abilità o capacità a svolgere bene la propria attività”.
La seconda epoca vissuta da Socrate è un'epoca dura in cui c'è guerra nel Peloponneso. Socrate va a combattere. Finisce la guerra e comincia il periodo del governo dei 30 tiranni → Socrate viene condannato a morte → le accuse sono 2: 1) Non credere agli dei della città 2) Corruzione dei giovani.
Altra cosa che non andava giù era la critica di Socrate alla democrazia: non possono essere eletti a comando della città degli inetti, dei farabutti, degli immorali.
Platone → governo dei filosofi, delle persone dotate di virtù. L'idea di Socrate non era quella di convincere, ma di far ragionare: gli uomini di alta levatura morale sono coloro che conoscono la tecnica del ragionamento.
Da un lato i filosofi della natura e dall'altro i sofisti, interessati al lato umano dell'esperienza → Socrate si distacca dalla filosofia della natura per interessarsi degli stessi interessi dei sofisti per l'uomo per arrivare però a criticarli.
Non più il metodo di ricerca basato sull'osservazione bensì sul dialogo.
Non solo non si interessa più dei fenomeni della natura, ma ritiene che chi faccia solo questo sia in errore (idea opposta rispetto al vissuto di oggi: tutto ciò che interessa di più gli uomini ha a che vedere con il ragionamento).
Da un lato è giusto che i sofisti si occupino della virtù, ma fino a quando lo fanno in questo modo, non arriveranno mai a cogliere il vero significato della virtù → idea sbagliata di virtù.
“L'unica cosa che so, è di non sapere”...allora... indaga!
L'unica cosa che sa è che se non applica il ragionamento, non arriverà mai a sapere nulla. Non sempre si arriva a una verità, ma solo così si può arrivare a verità inconfutabili.
Dialoghi aporetici → dialoghi che non arrivano alla verità (come quelli che non arrivano al coraggio).
Parresiasta → colui che mette a repentaglio la propria vita per dire la verità.
“Che cos'è la democrazia” - Ed. Nostro tempo.
Età periclea → spostamento da interesse della filosofia per il mondo della natura a quello dell'umanitas.
Anche Socrate, come i sofisti, sposta il proprio interesse dalla filosofia della natura alla filosofia dello spirito.
Il nodo di differenza tra Socrate e i sofisti si basa sul concetto di 1) virtù, 2) metodo (i sofisti → discorsi lunghi e citazioni poetiche per incantare il pubblico.) (Socrate ha battute molto brevi basate sul dialogo e il ragionamento nel dialogo) e 3) concetto di anima (Socrate dice ai Sofisti:”attenzione, prima di occuparvi di trasmettere la virtù, attraverso i vostri discorsi incantatori, occorre che andiate a ricercare l'anima di coloro con cui parlate”) .
Cuore del metodo socratico è il ragionamento, non ammalia come i sofisti. Verità è ciò che il ragionamento porta e prova. Ciò che viene mostrato e non confutato è vero. Se non si arriva a conclusioni, viene definito dialogo aporetico.
Non ci sono verità a priori → tutto è risultato di un ragionamento.
Anima → psyche ! Psicologia = cura dell'anima.
Prima di Socrate il significato di anima era completamente diverso.
Secondo la religione omerica l'anima era un'ombra che rimane dopo la morte.
Nelle religioni olfiste e pitagoriste l'anima era una destino universale che accomunava tutti gli uomini → la vita umana concepita come fusa con il cosmo → problema di conservazione della vita dopo la morte. Non c'è netta separazione tra mondo fisico e mondo spirituale.
Con Socrate ognuno diventa portatore di un destino individuale. Ognuno deve decidere per se stesso e per farlo possiede una propria forza diversa da quella di un altro. Ognuno ha capacità di distinguere tra il bene e il male, distinguere la verità e quindi scegliere della propria vita.
L'anima è quindi ciò che può decidere sulla vita di ognuno e quindi occorre occuparsi della propria anima.
CURA DELL'ANIMA → ciò che interessava ai filosofi antichi. Filosofia che spinge l'uomo a occuparsi di se stesso, da Socrate al Medio Evo. Con la scolastica si sposta il baricentro sullo studio dell'essere, dell'essenza, dell'ontologico. Tutto ciò esulava dall'idea di Dio.
Ognuno deve essere filosofo solo nel senso che curando la propria anima l'uomo può vivere felicemente.
Per Socrate ci sono due tipi di interlocutori:
Quello sicuro i sé → convinto di vivere bene, di fare le cose giuste, di credere le cose giuste. Apparentemente sono persone che hanno cura di sé e della loro anima → persone che hanno sempre al centro il loro io (attraverso l'acquisizione di vasta cultura, ecc.). Ciò che Socrate fa con coloro che apparentemente si prendono cura della loro anima è “rendere fluido, elastico lo stato corazzato di chi guarda solo a sé” Patoçka → Persone legate a false certezze, alla conoscenza oggettiva, ma che ignorano ciò che realmente sono. Persone egoiste, egocentriche, che curano l'io in modo egoistico attraverso convenzioni e sapere comune.
Ciò che intende Socrate con cura dell'anima è qualcosa che prevede la messa in discussione di tutto il sapere e le certezze, non nostre, ma proposte dall'esterno. L'unico sapere di cui ci si deve occupare è la propria anima ovvero se stesso. “Conosci te stesso!!!”
Se scopo della filosofia antica è vivere felicemente, allora si può arrivare a questo solo attraverso la cura della propria anima e la cura di se stesso.
Nei dialoghi non si affrontano mai problemi individuali, ma problemi che riportano a tematiche “universali” (etica, coraggio, virtù, amore, giustizia, verità, ecc.).
Nel dialogo con Gorgia, Socrate viene presentato come un medico → la cura dell'anima è rappresentata da un medico il quale attraverso il linguaggio cura l'anima dei suoi interlocutori → le parole come medicine dell'anima → parole razionali, ragionamenti → discorsi razionali.
Con Socrate nasce la distinzione tra parlare a vanvera o parlare con ragione...
Primo passo verso la guarigione è la consapevolezza di essere malato...capacità di mettere in discussione le proprie idee... “forse” non sono così felici, giusti, virtuosi come pensano di essere.
Tutto si gioca nel linguaggio → non è un caso che nella medicina socratica la cura è nel linguaggio. Il linguaggio non è un accidente, ma una manifestazione dell'uomo, del suo essere più profondo. Già in Eraclito il linguaggio è l'espressione della verità delle cose, che si può fraintendere, ma la verità è lì. Il linguaggio non è nulla di arbitrario o di lasciato al caso. L'uomo “esprime” ciò che è nel linguaggio → quando l'uomo parla a vanvera mostra un vuoto dentro di sé → manca la percezione corretta, ma è comunque espressione di un errore o di un'insensatezza interiore!
1) Socrate inizia facendo si che l'interlocutore si renda conto di essere malato...che la sua certezza è infondata, attraverso il portarlo a contraddirsi. Mostrandogli che il suo parlare molto è un dire nulla...(cari sofisti) → primo passo verso la guarigione. Rendersi conto della contraddizione permette di rendersi conto del nulla per poi poterlo occupare con una nuova verità.
2) Secondo passo portare l'interlocutore alla conversione, cambiando proprio il modo di vivere poiché filosofia e vita per l'uomo antico sono la stessa cosa.
Socrate : a) Sa di non sapere → Non sa mai nulla, ma la ricerca assieme a te e b) sa di poter utilizzare il ragionamento → Tutte le impressione o le opinioni sono poste al vaglio del ragionamento e questo lo rende diverso dal proprio interlocutore.
Il secondo è colui che, come Socrate, sa di non sapere e che si pone nel dialogo con l'attitudine di poter arrivare a capire cose diverse rispetto a quanto ci è stato detto essere vero.
6/10/2011
Metodo socratico → far nascere una contraddizione per poter far scaturire una confutazione o “elenchos”. Le questioni non sono mai personali → così anche la confutazione ha sempre un valore universale, ma adattato alle situazioni in cui si è coinvolti → non è un metodo rigido.
L'argomento di discussione, normalmente è ciò che fa bene all'uomo, che lo porta a vivere bene. Attraverso il perdersi nel flusso di domande si porta l'interlocutore a interrogarsi.
L'elenchos è necessario nel caso in cui l'interlocutore crede di sapere una verità (1° interlocutore). Con l'altro interlocutore Socrate usa comunque dialogo con ragionamento.
Con il secondo interlocutore Socrate passa direttamente alla maieutica → tecnica / arte dell'ostetrica (chi fa nascere i bambini)(madre di Socrate). Nel Teeteto viene data questa definizione di Socrate: sterile di sapienza (come sterili erano ormai le levatrici, per età), aiuta gli altri uomini a partorire il sapere. Come le donne giovani portano nel loro ventre i bambini, gli uomini portano nel loro ventre il sapere, la verità. Gli uomini dentro di loro hanno la capacità di arrivare alla verità. Socrate, sapendo di non sapere, attraverso la confutazione porta anche coloro che credono già di sapere, alla maieutica per arrivare alla verità → Maieutica = far uscire la verità.
Nell'Apologia si parla di Socrate come maestro ignorante.
La differenza fra Socrate e i suoi interlocutori è il fatto di sapere che l'uomo felice è l'uomo che si prende cura di sé, mettendo in discussione i suoi saperi per riaffrontarli con il ragionamento.
Elenchos, Maieutica, Ironia (tutto è tenuto insieme dal linguaggio (ragionamento) del dialogo).
Ironia → modo di Socrate di mettere alle strette i suoi interlocutori. Tonalità utilizzata nei dialoghi. Metodo Socratico → Pedagogia. L'ironia ha un carattere essenziale poiché attraverso essa Socrate spinge l'interlocutore a dubitare di sé.
Ironia → termine con valore retorico. Quintiliano → Ironia: figura del linguaggio in cui si deve intendere il contrario di ciò che viene detto. Stessa definizione, o quasi, arrivata fino a noi → dico qualcosa volendo lasciare intendere che intendo esattamente l'opposto. Uso questa figura con consapevolezza, volendo far trasparire ciò che intendo e non il significato delle parole.
Prima di Socrate mancava l'aspetto della consapevolezza nell'interlocutore (l'ironia era utilizzata solo per ingannare, per fargli credere il contrario. Qui è utilizzata per trasmettere un significato reale al di là delle parole). Cambia l'uso dell'ironia.
Un grande studioso del pensiero socratico (Vlastos) soprattutto legato all'elenchos, dice che Socrate ha per primo, smesso di utilizzare l'ironia come strumento d'inganno, utilizzandola in maniera diversa. Socrate è l'incarnazione di un'ironia non ingannevole per l'interlocutore. In lui c'è l'intento opposto a quello dell'inganno: il risveglio.
Ironia socratica → libera da finzioni, innocente, ha qualcosa di giocoso, ma seria. Vlastos → l'ironia è quasi un tratto di personalità. Modo di parlare tale per cui chi sta parlando “si sottovaluta a torto”.
Nel momento in cui Socrate dice di sé “io non sono un maestro, io non so niente”, l'interlocutore è spinto a confrontarsi su un tema di cui è convinto di sapere già tutto. Socrate sa di non sapere e che gli altri non sanno.
Filosofy for Children → metodo educativo per i bambini. Metodo socratico. Poco usato in Italia.
C'è chi si arrabbia con Socrate → tacciato di presunzione e ipocrita la sua auto-svalutazione. Ippocrate dice di Socrate che passa il suo tempo a fare l'ingenuo e a prendere in giro la gente.
Socrate nella sua ironia, finge di adottare il punto di vista dell'altro...
Cicerone dice di Socrate: svalutando se stesso, concede più del dovuto agli interlocutori (dà ragione all'interlocutore sapendo che ha torto), per poter entrare in dialogo. Socrate sembra parlare di cose stupide...
La figura di Socrate maestro è la figura ironica per eccellenza: 1) Socrate come maestro che non sa: questa è la figura ironica per eccellenza: “io non so nulla” è da intendersi in senso ironico 2) altro concetto d'ironia e cuore dell'ironia socratica, è quella che si manifesta attraverso Socrate che sottovaluta se stesso per sposare il punto di vista dell'interlocutore.
Ironia socratica → dobbiamo intendere che 1) ironica è sia la stessa presentazione di Socrate come maestro che non sa → “io non so” e ironico. Figura ironica per eccellenza.
Sia come la definizione più perfetta del non sapere socratico, la 1) metodologia dialogica che Socrate usa per mettersi al livello dei suoi interlocutori affinché gli interlocutori affrontino il dialogo.
Socrate → estremamente brutto esteriormente, estremamente bello interiormente. La sua è una finzione priva di intento ingannatore → maschera.
Patocka → l'ironia è il cuore, nucleo pedagogico della filosofia socratica → è una forza pedagogica. L'ambiguità dell'ironia socratica fa si che venga messa in crisi l'apparenza di qualcosa → noi pensiamo che le cose siano in un certo modo (è meglio infliggere un'ingiustizia che subirla) → nella vita contano delle cose che in un primo momento non si vedono. La verità non è come appare.
Patocka → il bambino nel mondo degli adulti è in una situazione ironica. Noi sorridiamo dei bambini che imparano a stare nel mondo → Socrate ha lo stesso sorriso ironico buono.
Ultimo tassello del metodo socratico → tema della virtù: Socrate si avvicina ai sofisti poiché condivide l'idea secondo cui è più interessante interessarsi dell'uomo. Non crede che i sofisti sappiano cos'è la virtù: la intendono come abilità nel fare qualcosa.
Cos'è per noi? Aspetto buono nel comportamento di una persona. Disposizione a fare del bene. Nella nostra cultura permeata di cristianesimo, per noi virtù ha un carattere ascetico (sopra gli istinti), rinuncia, controllo di sé per prepararsi ad un rapporto con l' al di là. Il concetto di virtù, per noi, si oppone ad una vita fatta di coinvolgimento → il cristianesimo insegna a non peccare e in questo senso è virtuoso.
Buono, per un greco, è qualcuno che vive in maniera buona qui per qui, per vivere appieno la vita qui. Nessuna idea di ascetismo o rinuncia.
11/10/2011
Chi fa ironia vuol essere compreso (in senso socratico). Nell'antichità chi faceva ironia non voleva essere compreso.
Ironia giocosa che porta ad un insegnamento → Socrate, inizialmente dice esattamente ciò che sostiene l'interlocutore per mettersi al suo pari.
Virtù è un aggettivo che si lega alla bontà.
Virtù per un greco → capacità di realizzare il proprio compito specifico → non c'è nulla di ascetico. Chi è buono è virtuoso. Il sofista insegna la virtù dell'oratoria → è una capacità.
In senso socratico, virtù è ciò che rende qualcosa ciò realmente è → virtuoso è chi è capace di realizzare se stesso. Quale è la capacità specifica dell'essere umano...non solo essere una cosa sola (medico, dottore, avvocato, ecc.), ma essere un essere umano.
La virtù socratica è ciò che permette alla natura umana di essere esattamente umana. L'unica cosa che definisce un uomo come tale è essere un uomo.
La virtù non è altro che la realizzazione di sé! Per un sofista arrivare ad essere medico poteva essere la realizzazione di sé. Per Socrate la realizzazione di sé arriva solo con la pienezza della vita → coincidenza perfetta tra vita fisica e vita spirituale → vita che non rinuncia ai piaceri, ma che fa coincidere questo con la vita spirituale. Vivere i piaceri della vita non vuol dire non vuol dire rinunciare alla vita dell'anima. La cura dell'anima non è necessariamente in contrasto con l'aderire alla vita sensibile → non tutto però è lecito. Non c'è scelta da compiere tra vita spirituale e vita sensibile attraverso la rinuncia (ottica della virtù cristiana).
Virtù socratica → realizzazione e conoscenza di sé. Vivere nei banchetti, ma essendo sempre padrone di sé e quindi anche nella vita sensibile, non contrasta con la virtù.
Curare la propria anima significa essere virtuoso → per un greco virtù e felicità coincidono (padronanza di se, virtù, realizzazione...coincide con una vita felice).
EUDAIMONIA → principio che regge la Grecia antica → Assioma eudaimonistico: ogni individuo tende necessariamente alla felicità. Non c'è altro scopo che essere felici. La felicità non è indiscriminata adesione ai piaceri della vita → ciò per Socrate, questo vuol dire essere schiavi. Occorre essere anime che si curano di se stesse → virtù è essere buoni → essere buoni porta a essere felici.
L'anima di un greco è l'anima che si realizza nel godere dell'immediatezza, al di là dei limiti della società. Non c'è altro che la coerenza nei confronti di se stesso con una visione delle cose che non prevede la rinuncia in nome di una vita futura. Lo stoico è colui che rinuncia, per abituarsi alla rinuncia, ma in funzione di un migliore adattamento a una possibile mancanza nella vita, senza guardare a soddisfazione futura. Non c'è nulla al di là di questo istante (Stoici, epicurei (si esercitano a non avere paura della morte)), faccio tutto per esercitarmi a stare meglio in questa vita. La sofferenza incrina la padronanza di sé e ci allontana da noi stessi!
La morte è solo la cessazione dell'esistenza.
Mai c'è una spiegazione alle cose oltre la felicità → non c'è altra ragione per fare le cose al di là della mia felicità (Vlastos) → nel Simposio “non c'è mai motivazione ulteriore rispetto a voler essere felice” Tutte le motivazioni riportano a quello. La felicità è il fine ultimo di tutte le cose. Non c'è però una scelta rispetto all'andare verso la felicità → Platone ci dice “se ci chiedessero perché abbiamo fatto questo?” La risposta sarebbe “per essere felice”.
Per Socrate Virtù e Felicità sono sempre necessariamente la stessa cosa. Noi non facciamo nulla, se siamo padroni di noi stessi, che non sia cercare di essere felici. E' inutile cercare altre motivazioni...solo la felicità spiega il perché dell'esistenza.
Non c'è neppure la distinzione tra interesse personale e interesse collettivo.
Principio eudoimonistico → l'unica ragione per cui faccio le cose è la felicità → mai un greco antico mi accuserebbe di badare al mio interesse personale rispetto al collettivo.
Agisco per il bene, non perché è bene, ma perché così facendo arrivo alla felicità!!!
a) Rapporto strumentale: la virtù può essere per un greco un mezzo per essere felici. Per un epicureo la vita ha senso solo in quanto vita di piacere. Un'azione virtuosa la faccio solo se mi porta a godere di più...verso la felicità. Le virtù mi interessano solo per arrivare alla felicità.
b) Rapporto costitutivo: solo in parte. La virtù è qualcosa di desiderabile in sé, ma non è l'unica cosa desiderabile e non la principale. Di per sé le virtù sono da perseguire, indipendentemente dal fatto che portano alla felicità, ma comunque è sensato perseguirle. Questa è la posizione di Platone e Aristotele. La virtù è una parte della felicità, ma ci diciamo anche che la felicità non è solo virtù.
c) Posizione di Socrate: La virtù è l'unica componente della felicità e non c'è nessuna felicità che non sia virtuosa. Identità di virtù e felicità → non c'è mai comunque nulla che sia rinuncia in favore del domani → l'unico fine è il piacere e la felicità immediati.
13/10/2011
Elenchos → metodo con cui Socrate confuta i propri interlocutori.
Apologia di Socrate → suo discorso prima di morire (Accusa di: corrompere i giovani (Socrate dava fastidio al potere) e credere in altri dei (parlava di ciò che si ha dentro di sé e non di uno degli dei del tempo)) → Foucault: Socrate parresiasta → rischia la propria vita in nome della verità.
Passo in cui Socrate prende le distanze dai sofisti: Gorgia (Sofista ateniese) → Socrate ironizza rispetto al fatto che i sofisti vanno in giro a vendere la loro arte retorica (ironia utilizzata in senso moderno → volendo far emergere il senso opposto alle parole).
L'oracolo di Delfi stabilì che Socrate era l'essere più sapiente sulla terra. Socrate per capire questo volle andare a ricercare qualcuno più sapiente di lui e si confronta con politici, artisti, avvocati, ecc. senza trovare nessuno più sapiente di lui; anzi, coloro che sembravano meno sapienti, lo erano di più di coloro che erano magnificati per questo.
Si rivolge agli ateniesi, prima della sua condanna → i più sapienti sanno e possono insegnare agli altri che la sapienza è nulla, sapere di non sapere. Sapiente non è nessuno.
Insegnava che essere colpevole di un'ingiustizia fosse peggio che subirla...non guardare alla ricchezza, non guardare agli onori...
Persegue solo le cose che gli paiono vere → ama gli ateniesi, ma sente di dover rispondere ad un dio → non rinnegherà la sua missione di verità verso se stesso...il Dio. Accettare il proprio Dio vuol dire accettare di assoggettare al vaglio del ragionamento qualsiasi presunta verità.
Il Dio quindi è in realtà se stesso.
Lui non parla solo con chi gli dà soldi (accusa ai sofisti). Dice di non insegnare nulla...semplicemente non si sottrae con chi vuol parlare con lui.
Dialogo: 1) Ironia ed 2) Elenchos per spingere l'interlocutore a mettere in crisi ciò in cui crede (spingere ad uno stato di contraddizione, portando a rendersi conto del nulla). Socrate non fa altro che ragionare con l'interlocutore 3) Maieutica → come le levatrici, sterili, Socrate (sterile in sapienza. Consapevole di non sapere), fa nascere la verità dal dialogo.
Maieutica Socratica → verità che nasce dal ragionamento → la verità arriva solo da questo: l'attività di levatrice consiste nel farci ragionare.
Filosofia platonica → verità che l'anima avrebbe appreso prima della nascita (ma Socrate non crede in una vita prima. Separazione del mondo delle idee. Il mondo reale è una copia del mondo delle idee). Con Platone si introduce un'idea di dualismo e trascendenza.
Saggio di Vlastos → studio dell'”Elenchos Socratico” 1983 → Testi tradotti nel 2003 “Testi Socratici”.
Socrate non parla mai di Elenchos, ma è una procedura/metodo che veniva applicato. L'elenchos portava al risultato di far arrivare a dire al proprio interlocutore l'esatto contrario di ciò che sosteneva all'inizio. Spesso inizia con l'ironia di sposare la tesi del suo interlocutore per poi iniziare a dialogare con lui e attuare l'elenchos (per quegli interlocutori che pensano di sapere).
Robinson distingue tra 1) Confutazione diretta (interlocutore enuncia una sua verità (- P); l'interlocutore esprime altre verità (Q, R, S, ecc.); dalla discussione su queste altre verità dell'interlocutore, si arriva - - P (non P). A questo punto l'animo dell'interlocutore è “fluidificato” (immagine di Patocka) → ammette di non sapere.
2) Confutazione indiretta: Socrate fa dire all'interlocutore ciò che crede essere vero; a partire da questa verità Socrate si fa concedere altre verità – Q, R, S, ecc.; Socrate si fa concedere dall'interlocutore la smentita di una di queste seconde verità - - Q; dal momento che l'interlocutore ha confutato una verità secondaria è costretto a confutare la verità iniziale → - - P
159 a.d Carmide : Socrate: “Che cos'è la saggezza?” Risposta:”La saggezza è una certa calma”.
Lachete: Socrate “Che cosa è il coraggio?” Risposta: “Rimanere al proprio posto in battaglia” (- P)
altra verità “Gli sciiti sono coraggiosi” (- Q) , ma gli sciiti indietreggiano, quindi abbiamo dimostrato - - P
Una volta confutati i convincimenti di partenza, siamo pronti per partire verso il dialogo aperto alla conoscenza.
Secondo Vlastos, già applicando l'elenchos, Socrate produce già una verità morale → l'elenchos non è soltanto una confutazione, ma anche una ricerca costruttiva di verità in ambito morale. Questo è l'importanza dell'insegnamento socratico → insegnamento morale.
Secondo Robinson l'elenchos è usato solo per distruggere una certa posizione (l'aspetto d'insegnamento morale è secondario).
Vlastos mette in luce anche chi sono gli interlocutori di Socrate e quali le caratteristiche del dialogo → Secondo Vlastos, l'elenchos può funzionare solo con una persona; questa persona non deve necessariamente essere una persona colta; deve parlare la stessa lingua e ragionare; occorre un accordo tra le parti sull'oggetto del dialogo; risposte dell'interlocutore: semplici e chiare (contrario di quanto fanno i sofisti); l'interlocutore deve credere veramente in ciò che dice (affinché funzioni la cura, occorre che l'animo dell'interlocutore sia sinceramente attivo. Lo scopo del dialogo con Socrate è che gli uomini si prendano davvero cura di sé, che rifiutino le cose superflue e si occupino soltanto della loro anima...di se stessi).
Come mai l'interlocutore accetta il non P anziché rimanere nella propria convinzione? Si arriva ad un accordo. Una volta che con l'elenchos si è dimostrata la validità di non P si può partire per il dialogo maieutico. L'elenchos non dimostra altro che P e non P non possono andare assieme.
Stratagemma di Platone che arriva a far si che l'interlocutore concordi con Socrate. Se non fosse così e l'interlocutore rimanesse sulla posizione di P, non si potrebbe partire per il dialogo maieutico.
Fintanto che non arriva nessuno a confutare Socrate, ciò che è emerso dal dialogo è verità poiché con questo metodo si arriva alla verità. Se seguo il ragionamento arrivo alla verità. Una delle ragioni per cui ci deve essere accordo, è dovuto al fatto che c'è un accordo sulla razionalità delle conseguenze dovute al ragionamento, per coerenza interna.
Paragone della collega con chi dice non ho ucciso (P), ma poi messo davanti a evidenze ritenute anche dall'interlocutore inconfutabili (Q, R, S) arriva a concordare con non P.
18/10/2011
Se l'interlocutore crede veramente in Q, se gli viene mostrata la non validità di Q, o R o S, si arriva a non P per la proprietà transitiva → Socrate non confutato nella dimostrazione di non P mostra la validità che P di Socrate sia vera.
Accordo razionale tra le parti e Socrate non è mai stato contraddetto: Gli interlocutori devono essere in verità e quando Socrate gli mostra non P gli interlocutori si mostrano d'accordo → coerenza tra gli interlocutori.
Tutto questo discorso sull'elenchos, ci dice che l'oggettività di ciò che emerge dal dialogo diventa un'autorità morale...oggettiva! Socrate, attraverso il dialogo, si è curato della propria anima → ragionando è arrivato a definire una realtà oggettiva in quanto mai più confutata. Verità vera costruita nel dialogo, con elenchos, solo tra due → il ragionamento diventa poi valido per tutti poiché tutti potremmo fare lo stesso ragionamento.
Callicle è il padrone di casa e Socrate e Chierofonte vanno a fargli visita per interrogare il sofista Gorgia su cosa sia la retorica. Polo interviene
Gorgia “la retorica è l'arte dei discorsi” → Socrate l'attacca. Perchè? Socrate dice:”tutte le arti hanno per oggetto dei discorsi” Medicina, ginnastica, ecc. non solo la retorica è l'arte dei discorsi.
Gorgia: “La retorica si differenzia dalle altre arti poiché la retorica ha solo la parola”.
Gorgia, incalzato da Socrate : “Retorica è un'abilità a persuadere gli altri nei tribunali che ha per oggetto il giusto è l'ingiusto”.
Ma Socrate dice:”non solo la retorica è capace di persuadere, poiché anche le altre arti persuadono”
E' una persuasione che si attua da una convinzione senza sapere o da una convinzione che sa. Quando uno è persuaso dal retore, crede senza sapere o sa? Viene convinto o aderisce all'idea perché sa? Secondo Gorgia la persuasione e riuscire a convincere anche di fronte a chi, tecnico, ha la conoscenza della propria arte. Persuasione = Riuscire a far credere senza sapere.
Il retore riesce a convincere il paziente ad essere operato, meglio del medico.
Ma Gorgia ammette che ci sono casi in cui i retori fanno un cattivo uso della retorica. Questa diventa la P dell'interlocutore Gorgia. L'arte del persuadere, dal momento che può incidere sul credere anche senza sapere, può essere usata male e farne un uso sbagliato.
Socrate gli dice: ”se vuoi che parliamo occorre che lo facciamo in verità poiché occorre evitare le false opinioni, disposti a confutare, ma anche ad essere confutati” (458A).
La retorica è persuasiva nei confronti degli incompetenti → Non solo il paziente, ma lo stesso sofista può essere incompetente, quindi la retorica può essere praticata da incompetenti.
Socrate:”anche rispetto al giusto e l'ingiusto il sofista è incompetente?” → Gorgia: “chi vuole diventare retore deve andare a scuola da un retore per sapere ciò che è giusto è ingiusto”.
Sia che lo sappia già o che la apprenda, il retore deve sapere ciò che è giusto o ingiusto. E quindi il retore deve conoscere la differenza tra giusto e ingiusto. Conoscendola, il retore non può che scegliere il giusto. Se è vero ciò (Q) allora non può essere che il retore possa fare un cattivo uso della retorica. Ciò confuta il primo punto in cui Gorgia disse che era possibile che un retore facesse un cattivo uso della retorica. Gorgia ha contraddetto il suo P (Il retore può fare un cattivo uso della retorica).
All'inizio Socrate ha accordato tutte le tesi di Gorgia.
Socrate ha incalzato Gorgia verso la confutazione. Il risultato è stato solo far piazza pulita su alcune convinzioni sbagliate riguardo alla retorica. A questo punto il dialogo va avanti con altro interlocutore.
Attraverso l'ironia di Socrate (inizialmente gli dà ragione su tutti i punti) Socrate ottiene di entrare in dialogo.
Questa è secondo Robinson una confutazione indiretta → confutando Q, confutiamo P.
20/10/2011
Polo, che sostituisce Gorgia nel dialogo con Socrate, interroga Socrate su cosa è la retorica (secondo Polo Gorgia è stato troppo gentile ed è andato via) → Risposta: “Empiria volta a produrre diletto e piacere”. Stessa cosa della culinaria (fa apparire buoni cibi che dal punto di vista medico ci può far male) o della cosmetica (nasconde difetti del corpo che potrebbero essere risolti dalla ginnastica) → Come il rapporto che c'è tra cosmetica e medicina è il rapporto tra retorica e politica → la retorica è una contraffazione della politica (passo 464 B). La retorica come la cosmetica si occupa di contraffare qualcosa: l'anima, mentre la cosmetica i corpi. Questa è la convinzione di Socrate, ma a noi interessa come si arriva alla verità.
Secondo Polo “i retori hanno molto potere in città”. Secondo Socrate “i retori non hanno potere se sei d'accordo con me con il fatto che il potere è una bene”.
P = i retori hanno molto potere in città. Q = Il potere è un bene.
Secondo Socrate i retori non fanno ciò che vogliono, ma fanno ciò che gli piace di più fare. Polo non capisce e Socrate spiega.
Cosa vuol dire fare ciò che si vuole? Secondo Socrate tutti gli uomini hanno un fine che è la felicità che coincide con il bene → tutti gli uomini tendono al bene (non il bene morale, ma una miscela tra virtù, piacere e felicità) → l'azione del tiranno come un retore (che ha potere) non è necessariamente volta al bene. Fare ciò che ci pare non coincide con il fare ciò che si vuole. Non è detto che ciò che passa per la testa sia un bene → se il tiranno fa una “coglionata” per ignoranza può ovviamente sbagliare.
Il retore o il tiranno agisce sempre pensando al bene. Se capita che qualcuno faccia qualcosa di male lo fa senza volerlo poiché non può che volere il bene.
Fare tutto ciò che pare se ciò non è bene, in realtà non è fare ciò che si vuole. Se vero potere è fare qualcosa che produce bene, potere non può essere altro che ciò che faccia del bene.
Non tutti i non P sono verità morali.
Il retore, come il tiranno non ha gran potere in città, poiché agisce facendo ciò che pare e non ciò che vuole.
Polo è stato confutato.
Nuova fase di dialogo con Polo sempre sul tema del potere.
Ok, se non ha potere, almeno è invidiabile. Secondo Socrate ciò non è vero poiché è invidiabile solo colui che agisce secondo giustizia e non secondo ciò che passa per la testa.
Meglio subire ingiustizia piuttosto che commetterla. Polo sostiene esattamente il contrario.
Socrate → colui che è bello e buono, che agisce secondo giustizia, è felice. Dice subito quello che pensa. Il retore non può che essere infelice se agisce solo in base a ciò che gli pare.
DOVE E' L'IDEA DI GIUSTIZIA? CHI NON CE L'HA?
Torturatore e torturato → è più felice colui che è torturato. Archelao come può essere più infelice delle sue vittime? Anzi lui, secondo Polo, è felicissimo.
Secondo Socrate è più felice chi paga la pena alla giustizia → questa per Socrate è una verità (secondo Vlastos questa è la prova secondo cui Socrate aveva delle verità da insegnare e non voleva solo confutare). Socrate annuncia inoltre che non ci sarà uomo che potrà contraddire quanto lui dirà (punto strano). Questo annunciare un punto così strano da recepire mostra quanto possa essere scomoda la verità socratica e quanto l'elenchos possa portare a fare proprie anche posizioni apparentemente e inizialmente assurde...Quanto cambia una verità nel momento in cui questa viene affrontata e discussa...
P → è peggio patire una ingiustizia piuttosto che infliggerla.
Tu Polo, pensi sia moralmente più brutto commetterla o patirla?
Q → è moralmente più brutto commetterla
Cosa significa più brutto? Socrate incalza Polo su ciò che sia bello o brutto e da ciò emerge che
R → è bello ciò che è utile e piacevole e brutto è ciò che male (dolore) e dannoso.
Escludendo il dolore (fisico), rimane il male. Commettere un'ingiustizia è moralmente...peggio!
Così Socrate Confuta Polo secondo cui è peggio subirla.
“A me Polo, basta che tu sia d'accordo affinché siano d'accordo anche gli altri” (476A) → se due ragionano, la verità che ne nasce, vale per tutti.
Inoltre, se uno sfugge alla pena è ancora più infelice (secondo Socrate).
Per Socrate se uno commette un'ingiustizia è un'anima malata e la pena è la medicina. Inizia un'altra fase “elenchtica” (più semplice della precedente).
P = è peggio pagare il debito alla giustizia. Peggio è il male più grande (l'abbiamo visto prima). Secondo Socrate il male più grande è sfuggire alla giustizia.
Polo concede che Pagare il debito equivale a fare la cosa giusta; poi concede che le cose giuste siano belle, quindi chi patisce fa una cosa bella e quindi utile.
Utilità è un miglioramento dell'anima.
Per gli antichi l'idea di carcere moderna (dal '600 in poi) è assurda. La punizione è meglio per chi viene punito, non per la società.
Socrate si fa concedere da Polo che la crematistica (chi vuole diventare ricco) è l'arte che libera dalla povertà; la medicina è l'arte che libera dalla malattia; la giustizia è l'arte che libera dall'ingiustizia l'anima. Felice è chi viene liberato dal male.
Chi sfugge l'ingiustizia è come il malato; che come un bambino ha paura di farsi medicare poiché doloroso, così chi sfugge alla giustizia è qualcuno che non accetta di soffrire per il bene della propria anima. → idea di giustizia e di pena molto diversa rispetto a quella che intendiamo noi.
Polo viene confutato = è meglio pagare il proprio debito con la giustizia.
In questo dialogo con Polo emerge il dialogo morale.
Socrate ci dice che cosa è la retorica → secondo Socrate l'unico uso positivo della retorica è convincere chi ha commesso uno sbaglio a pagare, facendo “male” ai propri amici e “bene” ai propri nemici → Paradosso appena dimostrato, secondo la logica corrente di male e bene.
25/10/2011
Dialogo con Callicle → discussione sul rapporto tra bene e piacere.
Accusa di Callicle rispetto al fatto che la filosofia non sia qualcosa di cui occuparsi.
Le leggi sono fatte dai deboli per difendersi dai forti.
Piacere coincide con bene, virtù e felicità solo se sono piaceri utili.
Per Callicle l'idea di morale, invece, è avere tanti desideri e soddisfarli tutti → ovvio che la legge che si pone di traverso rispetto a questo è scomoda.
Per Socrate, non d'accordo, avere continuamente desideri è come raccogliere acqua un un vaso bucato (493D, 494C), manca sempre qualcosa.
Qui comincia la discussione elenctica su bene e piacere.
L'idea di Callicle è che piacere e bene coincidano (poiché soddisfacendo ogni desidero si arriva alla soddisfazione profonda → la felicità)
Secondo Socrate esistono due piaceri: piacere buono e piacere cattivo. Quindi bene e piacere non coincidono.
Callicle “concede” a Socrate che bene e male sono due cose opposte (Q). Quando c'è il bene non c'è il male. Mentre è possibile godere soffrendo; se bevo mentre ho tanta sete c'è un momento in cui si incontrano le due sensazioni.
Se bene e male non stanno mai assieme e godere e soffrire invece si, allora ci sono casi in cui il bene coincide con il piacere e in altri casi no. Godere non significa sempre stare bene e soffrire non vuol dire sempre stare male.
Se piacere e bene non sono la stessa cosa, noi dovremmo perseguire il piacere in vista del bene e non viceversa. → tutto è servito per arrivare a questo punto d'arrivo morale per Socrate. Tutto si deve volere per il bene (500A). Due conclusioni: 1) Retorica → procura piacere, dicendo al pubblico ciò che il pubblico vuol sentirsi dire, mentre la Filosofia agisce sempre in vista del bene. Retorica → adulazione in vista del piacere Filosofia → bene in vista del piacere.
Non si intende una bontà che non coincide con la felicità → Virtù e felicità coincido e coincidono anche con il bene. Chi vive secondo la saggezza è il filosofo. L'anima non saggia sarà un'anima cattiva e infelice. Il concetto di bontà o di virtù non ha nulla a che vedere con il concetto moderno, ma un uomo sarà buono, virtuoso, che prova piacere e felice se userà il ragionamento per arrivare alla definizione delle cose. Una vita razionale è una vita saggia che porta a felicità, virtù, bontà piacere. Ciò che tiene insieme tutto è il ragionamento → non ho bisogno di un'etica esterna che me lo suggerisca.
Anche l'epicureismo non porta mai ad un piacere che porta ad una violazione del principio di ragione. L'unica morale per gli antichi era la ragione.
L'unico uso decente e legittimo della retorica sarà dunque da usare quando porta qualcuno a confessare il proprio crimine. Gli unici politici dovrebbero essere i filosofi poiché hanno a cuore il bene.
A questo punto Socrate racconta un mito → alcuni critici dicono che lo faccia per dare un tributo alla logica dello stato e della sua religione; per dare un contributo a vantaggio di coloro che non hanno strumenti per capire il suo discorso e vicini alla religione. “Io ve lo racconto (il mito), ma se ci sono strade migliori usate quelle” → forse vuole piuttosto dire, ironicamente, che si può anche seguire un racconto che non coinvolge il ragionamento, ma...
Erwin Rohde “Psiche” → libro rivoluzionario poiché sottolinea come i greci non avessero solo un approccio che voleva gli dei separati dalla vita degli uomini. Vivono una vita simile nel loro mondo. Rohde dice e mostra come ci fosse un rapporto molto più stretto tra gli uomini greci con la religione. C'è sempre netta separazione, ma Rohde mostra come ci fosse un rapporto molto più profondo e irrazionale.
Non è solo chi è giusto e buono, ma anche chi è dedito ai misteri → chi è adepto alla religione dei misteri Leusini verrà trattato bene nell'aldilà indipendentemente da come si comporterà in terra.
La visione della vita nell'aldilà di Rohde: il mondo dell'aldilà sarà appannaggio di coloro che semplicemente aderiranno a una setta piuttosto che ad un altra e non per la “bontà” della vita condotta dai suoi appartenenti... Non c'è nessun greco che pensasse veramente che tutta la realtà raccontata dalle religioni di una vita nell'aldilà venisse presa davvero in considerazione per influenzare i propri comportamenti → non ci sono credenze di vita ultra terrena, che toccano la vita degli uomini nel concreto. Il rapporto del greco nell'aldilà è un rapporto che riguarda soprattutto chi rimane nel ricordo → l'anima è piuttosto questo. Siamo nel mito (favola) piuttosto che religione.
Misteri Eleusi → derivazione della religione che si nutriva di pratiche esoteriche e clandestine (Tipo i baccanali)
Interpretazioni del socratismo – rapporto con Foucault (“Tra sorvegliare e punire”)
L'individuo e la conoscenza non sono qualcosa di già dato ma sono potere a produrre.
Il potere produce dei veri e propri campi di sapere → ciò che un uomo sa di se stessi è il prodotto di certe pratiche di potere.
Che cosa è un matto, un delinquente, un allievo, un maestro deriva dal contesto in cui il potere determina il modo di vedere le cose.
Micro fisica del potere → poteri capillari che fabbricano la personalità delle persone e ne costruiscono la struttura.
Fino al diciassettesimo secolo non c'era una pratica dell'anormalità, non era considerata una malattia. Prima non c'era l'idea che un anormale venisse introdotto in carcere, in manicomio, ecc.
Non esiste quindi un soggetto anormale, ma esistono pratiche di potere che stabiliscono ciò che è normale oppure no e ciò che deve essere “corretto”. Il soggetto non è dato a priori, ma costruito da una serie di pratiche di potere → il sapere prodotto sul soggetto è prodotto dalle pratiche utilizzate per trattarlo. Il potere influenza il rapporto tra il soggetto e la verità.
Economia, psichiatria, ecc. tutte scienze che hanno determinato il rapporto tra il soggetto e la verità. Da dove nasce l'idea di normalità → Foucault va alla ricerca, nel mondo antico, del dire la verità su se stessi. Dove nasce e come l'idea che un soggetto sia un soggetto morale? Perchè proprio nel 5° secolo avanti cristo nasce il problema del sé? Il problema di stabilire cosa è giusto e cosa non è giusto? Prima non si poneva il problema...perché? Perché l'uomo prima del 5° secolo non si poneva il problema della verità su se stesso.
Noi abbiamo il vizio di pensare che “conosci te stesso” sia il modo razionale che noi intendiamo come analisi oggettiva di sé. La cura di sé non riguarda solo l'aspetto razionale, ma anzi soprattutto la cura della parte irrazionale e quindi la totalità della persona. Ciò è chiamata da Foucault Estetica del sé → tutto ciò ha a che vedere con le sensazioni (del bello, del vero, ecc.) → La propria vita come opera d'arte. Foucault ci dice che è dalla cultura antica che è nata la “cultura del sè” o estetica dell'esistenza” → il principio socratico del “conosci te stesso” in realtà coinvolge la totalità dell'individuo: per un greco tutto il bello è etico.
Nella contemporaneità ci sono casi di vite estetiche, persone che hanno dedicato la propria vita alla cura di sé. Non è necessario attendere il cristianesimo per arrivare ad una pratica del raccontare la propria vita a qualcun altro. Già i greci lo facevano. A ritroso questo è la genealogia del rapporto di confessione, maestro allievo, psichiatria → l'origine del momento in cui un uomo ha bisogno di un altro uomo per arrivare alla verità su se stessi → il problema di dire la verità su di sé (ciò che uno fa con il confessore, in psichiatria, tra maestro e allievo, ecc.) → bisogno di qualcuno che ci aiuti a trovare la verità su noi stessi. Questo rapporto a due del dire la verità nasce con la filosofia socratica.
27/10/2011
Da che momento in poi ci si inizia a interrogare sulla sessualità, sulla normalità, sul carcere, sull'educazione, ecc. → sono prodotti da una certo momento storico dal potere in quel momento presente. Sapere – Potere → la Politica produce allo stesso tempo, distinzioni tra sano e malato, tra educativo e diseducativo, tra accettabile e inaccettabile → la politica (il potere) genera il sapere
(Feltrinelli “la volontà di sapere”). Con la modernità il potere si è distribuito in più mani e ha generato la necessità di molte più regole... → Biopolitica (politica che si occupa del bios, della vita).
Gli ultimi anni della sua ricerca riguardano le pratiche in cui l'uomo antico si costituisce soggetto morale all'interno di un gioco tra verità e falsità → problema di dire la verità su di sé → i greci la chiamavano Parresia.
Foucault cerca la genealogia della pratica tra maestro allievo, psichiatra paziente, ecc. ogni momento in cui un uomo dice all'altro qualcosa sulla verità.
Noi abbiamo il vizio di pensare che “conosci te stesso” sia il modo razionale che noi intendiamo come analisi oggettiva di sé. La cura di sé non riguarda solo l'aspetto razionale, ma anzi soprattutto la cura della parte irrazionale e quindi la totalità della persona. Ciò è chiamata da Foucault Estetica del sé → tutto ciò ha a che vedere con le sensazioni (del bello, del vero, ecc.) → La propria vita come opera d'arte. Ultimo aspetto su cui Foucault ha lavorato, suggerendo come nella contemporaneità ci sono casi di vite estetiche, persone che hanno dedicato la propria vita alla cura di sé. Non è necessario attendere il cristianesimo per arrivare ad una pratica del raccontare la propria vita a qualcun altro. Già i greci lo facevano. A ritroso questo è la genealogia del rapporto di confessione, maestro allievo, psichiatria → l'origine del momento in cui un uomo ha bisogno di un altro uomo per arrivare alla verità su se stesso → il problema di dire la verità su di sé (ciò che uno fa con il confessore, in psichiatria, tra maestro e allievo, ecc.) → bisogno di qualcuno che ci aiuti a trovare la verità su noi stessi. Questo rapporto a due del dire la verità nasce con la filosofia socratica.
Foucault → studi sul presente e sull'antichità.
Libro di Foucault sulla Parresia (non proprio libro, ma discorsi e lezioni). Inizialmente l'analisi di Foucault (morto di Aids) sulla Parresia è di carattere storico: Parresia si trova in Euripida (400 a.c.).
Parresia → traduzione dal francese → parlare franco! Il parresiasta è colui che parla in maniera franca dicendo tutto ciò che gli passa per la testa, senza temere le conseguenze di ciò che dice, ma chiarendo anche che ciò che dice è una propria opinione personale → Socrate è un parressiasta per eccellenza!
Il parresiasta dice ciò che pensa o ciò che vero? Il parresiasta dice ciò che è vero perché sa ciò che è vero. Il parresiasta, dice Foucaul si fa carico di ciò che sta dicendo e lo fa sapendo che è vero poiché egli stesso ne è testimone → la verità è tale poiché è sperimentata dal Parresiasta. La parresia funziona in condizione di emotività nel tentativo di arrivare a dare la verità all'altro.
Il parresiasta si mette in una condizione d'inferiorità poiché rischia dicendo la verità scomoda.
La verità che caratterizza i filosofi moderni è una verità fatta solo di ragionamento, senza virtù.
In Socrate ciò che è in gioco nella conquista della verità, non è un solo e asettico ragionamento, è anche la qualità morale del filosofo. Se il filosofo antico può arrivare alla verità attraverso il ragionamento, lo può fare attraverso il possesso della virtù che si ottiene attraverso il ragionamento → chi vive in accordo con il ragionamento è anche colui che vive nella virtù.
La parresia nelle tragedie euripide ha un ruolo meramente politico → il parresiasta è colui che ha il diritto di contestare il potere → diritto di ogni cittadino di contestare il potere. Il peggior delitto è non poter esercitare il diritto di parresia → non è non avere diritti, ma non poter protestare.
Diritto fondamentale. Libertà che il cittadino ha di contestare il potere.
A un certo punto il termine parresia comincia ad avere un'accezione negativa. Nell'Oreste (sempre tragedie di Euripide) la parresia comincia ad avere accezione negativa → Ka mathesis (non (ka) saggezza) → può prendere la parola anche colui che parla a vanvera.
I greci iniziano a porsi problemi rispetto all'utilizzo della Parresia → che tipo di educazione occorre che i cittadini abbiano per esercitare il diritto alla parresia? Non tutti hanno gli strumenti per criticare. Cambia il rapporto dei cittadini con la politica → Foucault la chiama “crisi della Parresia” che coincide con la crisi della democrazia 430 a.c. → guerra del peloponneso.
Foucault → più il problema della parresia viene messo in discussione come pratica di contestazione del potere e più il tema della parresia si sposta sul piano individuale. Sempre meno una verità legata alla politica, sempre più legata al bios, alla vita delle persone. Sempre più utile alla vita personale → in questo senso viene utilizzata da Socrate → la verità che Socrate pronuncia e che guida la sua condotta di vita, ovviamente è una verità scomoda per il potere, ma lui la pronuncia nel rapporto tra individui e riguarda la vita degli individui. Anche i convincimenti di Socrate diventano veri dopo il confronto con il ragionamento.
Il fatto che nel dialogo socratico sia l'interlocutore a dire la verità, non toglie nulla al fatto che la verità sia possesso di Socrate.
Socrate sa di non sapere, ma il non sapere socratico è un'ironia...in realtà lui sa, ha una verità al pari di tutti i parresiasti i quali sanno il vero poiché l'hanno sperimentato.
I parresiasti si confrontano su verità che riguardano la vita delle persone (da un certo punto in avanti) → i dialoghi di Socrate non sono mai autobiografici, né esami di coscienza, ma quando Socrate chiede di dire la verità su di sé chiede all'interlocutore se è in grado di raccontare razionalmente la propria vita attraverso il logos. Raccontare il bios attraverso il logos! Se il modo di vita dell'interlocutore è mediato dal ragionamento → sarà così solo se sarò capace parlarne razionalmente. Socrate chiede se si è in grado di raccontare razionalmente il proprio bios → Socrate chiede se c'è una condotta armonica della propria vita → sarà armonica solo se sarà raccontabile razionalmente → etica e razionalità (anche qui) coincidono.
Con Socrate abbiamo visto che la parresia si privatizza.
Il parresiasta è colui che mette in pericolo se stesso dicendo la verità! Le domande di Socrate sono domande che prevedono un mettersi a nudo: Socrate mette a nudo la coerenza tra il proprio credere e il proprio agire.
Se sei in grado di raccontarmi la tua vita attraverso un ragionamento, allora sarai capace di essere coerente.
Socrate è una specie di vaglio, pietra di paragone → se riesci a raccontare la tua vita con verità, (interessa che Lachete gli dica razionalmente cos'è il coraggio) (quando Socrate mette in discussione razionalmente il logos, mette automaticamente in discussione anche il bios → nella vita deve vivere secondo la sua idea di giustizia) → Il fatto che dopo il diaologo con Socrate l'interlocutore può cambiare rotta di vita è questo che ha portato Foucaoult a parlare della cultura antica come fioritura della cultura del sé → estetica. Il fatto di iniziare a vivere nella maniera migliore possibile dopo il vaglio dell'elenchos, sarà importantissimo per la nascita del cristianesimo. La conversione cristiana nasce proprio come conversione del modo di vita → ciò che viene coinvolta è tutta la prassi quotidiana.
L'aspetto pratico tocca il risultato dell'esercizio della parresia → se si opera questa conversione nella vita è perché il cambiamento avviene già nel dialogo (lettino, dialogo, scuola, ecc.). Il discorso per gli antichi è carico di un significato pratico di un risvolto pratico.
Prossima settimana vedremo quella parte del discorso di Foucault che analizza chi utilizzava la parresia dopo Socrate: Epicureismo (parresia nelle scuole), Cinismo (parresia ancor più in senso politico), Stoicismo (parresia in modo più personale → esercizio della confessione o esame di coscienza). Ci spostiamo verso l'inizio del cristianesimo → certe pratiche monastiche riprendono tantissimo alcune pratiche parresiastiche dell'antichità, certi esercizi spirituali.
Negli “esercizi spirituali” e tecniche del sé → filosofia di Pierre Hadot analizza esattamente questa idea della filosofia antica come prassi nella quale è messa in gioco una serie di esercizi come la conversione, modo di vita, ecc.
3/11/2011
Il parresiasta → sa che ciò che pensa è vero! Nella filosofia moderna la verità è il risultato di una complessa introspezione. La virtù coincide con la capacità di ragionare; è questo che permette al parresiasta di capire che ciò che dice è vero, poiché il parresiasta possiede qualità morali → qualità morale e virtù sono la stessa cosa.
Euripide → due usi della parresia: uso buono (contro il governo); uso cattivo (parresia in bocca a chi non è saggio). Con Socrate la parresia si sposta sul piano individuale → verità su di lui (legame stretto tra logos e bios) → Socrate chiede al suo interlocutore di esprimere chiaramente la sua vita. Per gli antichi il discorso è un momento della prassi → nel discorso capita qualcosa: l'interlocutore cambia il modo di vedere le cose e quindi anche vita.
Foucoult parla delle 3 scuole in cui si esercita la parresia:
Epicurei → parresia nelle scuole
Cinici → parresia nella vita pubblica
Stoici → parresia nei rapporti personali
Epicurei → parresia come tecnica e il parresiasta è una specie di condottiero, una guida, che sa cogliere il Kairos (momento decisivo), l'attimo in cui occorre prendere la decisione giusta.
La parresia è definita la tecnica delle tecniche → saper cogliere l'attimo.
Filodemo dice che nelle scuole epicuree c'erano due tipi d'insegnanti: uno che parlava alla classe e l'altro che parlava a dei singoli; quest'ultimo è il vero parresiasta e più importante (doveva aiutare l'allievo a scoprire la verità su se stesso → solo se si è in due è possibile scoprire la verità su se stessi). E' da questo tipo di parresia che nascerà la confessione → Socrate.
Cinici → è in gioco il modo di vita del parresiasta stesso → modo di vita che rispecchia il proprio pensiero di verità, mettendo in evidenza la verità attraverso il proprio modo di vivere. Predica a molti, alla cittadinanza. Anche nel cinismo si ha il dialogo, ma un dialogo provocatorio (Diogene che dice ad Alessandro Magno, “spostati che mi togli il sole”). Stile di vita scandaloso → denuncia delle convenzioni
Stoicismo → Plutarco, Seneca. Nasce nel 300 ac. Giunge fino al 2° secolo dc. Anche qui la parresia si svolge in un rapporto a due, ma in un rapporto più paritario (tra amici) rispetto al rapporto maestro allievo. L'amico è colui che ci può dire la verità su di noi, nel momento in cui siamo velati di egoismo.
Con il passare del tempo il rapporto col dire la verità su se stessi diventa sempre più un rapporto intimo. Sempre meno in gioco la razionalità su cui Socrate aveva basato la conoscenza di sé. Il rapporto con sé non è ancora una rapporto problematico (Agostino), ma rispetto al rapporto razionale di socrate è già un rapporto con se stessi molto fluido. In questa epoca il rapporto con sé non è problematizzato da un approccio per cui la ragione porta sempre alla virtù; l'io non è un elemento che guidato dalla ragione porta alla virtù. Con Agostino vedremo il problema della sofferenza → aderisce alla religione ma non riesce a non peccare a compiere il passo della conversione e questo gli dà tormento. La vita con sé per Agostino è tormento e il rapporto con Dio è un rapporto con un dio che sfugge. Qualche secolo dopo Socrate non basta solo ragionare (nell'approccio socratico).
Il problema si sposta sempre più dal dire la verità a un altro al dirla sempre più a se stesso → sempre più un percorso intimo nel corso dei secoli → sono io che devo agire da parresiasta su me stesso. La funzione del maestro diventa sempre meno rivelatrice, ma sempre più come aiuto a scoprire verità dentro di sé. Sempre meno forte l'apporto della guida spirituale e sempre più l'accento sulla crescita personale attraverso l'”esercizio”. L'esercizio arriva a svolgere l'azione del maestro nel rivelare la verità.
Seneca attua l'esercizio dell'esame di coscienza: si esamina tutto ciò che si è fatto nella giornata per vedere se qualcosa non ha funzionato → lavoro come se fossi il parresiasta di me stesso. Lavoro molto come l'autocoscienza cristiana, ma senza l'idea di peccato da confessare. Remetiri → riconsiderazione delle cose fatte per capire come far funzionare meglio le cose. Lo speculator è l'esaminatore.
Secondo Foucaoult: Nel mondo socratico ci siamo fissati sul principio “conosci te stesso” (in senso razionale) dimenticando che questo è solo un modo di curare se stessi. Se non guardiamo al fatto che è sulla cura di sé che si è sviluppata la filosofia post-socratica, non comprendiamo ciò che è successo, tanto che si è sviluppata una vera e propria “estetica del sé”. Estetica dell'esistenza → l'uomo si occupa della propria vita come se fosse un'opera d'arte. L'esame che Seneca fa alla sera è ciò che permette a Seneca di godere della propria vita come un'opera d'arte.
Io sono per me stesso un oggetto di godimento.
Su questa idea dell'estetica di sé (1984 le courage de la verité – Corso su Socrate e la parresia → lavoro sul rapporto tra parresia ed estetica dell'esistenza). Avrebbe continuato a lavorare su questo campo dell'estetica dell'esistenza...se non fosse morto! “Le souci de soi” (La cura di sé) 3° volume della storia della sessualità → Foucoult parla di quegli esercizi spirituali di cui parla anche Hadot → esercizi che in età ellenica permettono di dire la verità su se stessi. Hadot rifiuta l'idea di Foucault riguardo al godere di se stessi (idea estetizzante). Esercizi divisi in 3 gruppi:
Esercizi di prova → banchetto preparato per esercitarsi alla rinuncia → esercizio per fare a meno di tutto ciò che è superfluo → sia gli epicurei (rinunciare alle cose superflue serviva a godere di più delle cose elementari: per questo era interessante liberarsi dai piaceri superflui) che gli stoici (abituarsi a fare a meno aiuta a vivere meglio → posso farne a meno e se domani divento un povero, posso essere comunque padrone di me: qualsiasi cosa può accadere io sarò felice...qui, non nell'aldilà)
Esame di coscienza → non la coscienza cristiana, ma controllo su di sé per arrivare a far in modo che si possa vivere meglio...in maniera più funzionale. Senza ottica del peccato.
Lavoro del pensiero su se stesso → attitudine a esercitare una vigilanza costante su se stessi che riguarda il pensiero e l'immaginazione per evitare di cadere in false rappresentazioni. Filtro che mette in dubbio tutto ciò che pensiamo: il timore della morte non è logico poiché non la incontreremo mai, quindi occorre eliminare il pensiero cattivo.
Epitteto → Einaudi (tascabili) → stoico → “necessità d'essere per se stessi una sentinella interiore”
Fermare la prima idea che ci viene in mente e chiedersi da dove viene!
Lo scopo è avere “potestas sui” → essere padroni di sé. Se sono padrone di me, allora sarò un uomo libero.
Non si è più ripresentata questa coincidenza di virtù e ragionamento, teoria e prassi.
Questa è la via per essere felice. Non c'è mai più stato nella storia del pensiero una filosofia che si occupasse solo del sé. Se si occupa della mente umana si occupa della mente di tutti gli uomini universalità. Nella filosofia antica non c'è un problema di universalità...l'analisi dell'uomo diventa analisi dell'umanità. (Il parresiasta sa ciò che è vero e sa che è vero perchè è vero).
Foucoult ritiene che ognuno può essere oggetto di piacere per se stesso così come l'opera d'arte è oggetto di piacere per chi l'ha creata e per gli altri → in gioco è il piacere dell'esistenza. Il contatto con se stessi è un contatto piacevole. Hadot non crede in questo → egli ritiene che
Hadot e Foucoult hanno riportato in luce una visione diversa della filosofia antica.
Gli esercizi sono come delle ginnastiche.
Il coraggio della verità → Foucoult si ferma ancora sull'estetica del sé e godimento del sé che guidava la morale antica → la morale che si è sviluppata dopo è una morale dell'anima mentre questa morale è una morale dello stile di vita → morale che dice che sei più felice se fai certe cose. Facciamo fatica a pensarlo poiché siamo abituati a una morale che si occupa di anima, ragione, interiorità in base a principi razionali → tutto si cerca di spiegare con ragione (oggi) → il problema etico, dell'animo, della coscienza, della mente che fa da guida alla vita pratica. Per i pensatori antichi non c'è in gioco la razionalità, cioè non si interroga l'anima, ma è in gioco lo stile di vita, la vita stessa e la morale si esercita in pratiche, in esercizi.
Attraverso la cura di sé socratica, dice Foucoult, l'esistenza umana, il bios, si è costituito come un oggetto estetico come una fonte di godimento. Lo stile d'esistenza come oggetto di piacere → nel coraggio della verità Foucoult teorizza come l'esistenza stessa sia diventata oggetto di godimento per l'uomo. Il cristianesimo delle vite monastiche è scandito da una regola → il principio morale investe completamente la vita della giornata → Foucoult vede una continuità con il principio degli esercizi.
“Altissima povertà” Giorgio Aganove
Il punto più alto in cui nell'età antica, secondo Foucoult, la vita costituisce nella vita antica oggetto del godimento (estetica dell'esistenza), è rappresentato dai cinici → creare scandalo è il modo per denunciare una verità scomoda in grado di rompere le convenzioni → per un cinico il modo in cui si denuncia è attraverso il modo di vivere → massima espressione dell'estetica del sé. Anche per Socrate lo stile di vita è carico di significato filosofico → Foucoult dice solo che la cura di sé, a un certo punto ha preso una via estetica → per i cinici questo aspetto del godere del proprio stile di vita come di un 'opera d'arte è più forte rispetto ad altri filosofi.
Foucoult parla di “essere testimoni di una verità” → verità che fa piazza pulita di tutti i modi di vivere. La verità è resa visibile dal modo di vivere.
Foucoult dice che questo portato del cinismo, ha superato ampiamente le soglie storiche del cinismo → cinismo trans-storico (che supera l'attualità storica). Ciò non significa che successivamente non ci siano stati uomini che si siano rifatti al modello cinico.
Lo stesso rapporto che caratterizza l'approccio cinico tra verità e stile di vita, secondo Foucoult, è successo 3 volte nella storia:
Cristianesimo della vita monastica → ascetismo → vivere secondo regole diverse...ogni attimo. Ogni attimo è testimone della verità di Dio.
Vita del rivoluzionario → militanza politica in tutte quelle forme in cui la partecipazione alla militanza diventa testimonianza di verità (Kamikaze)
Vite d'artista. Alcuni casi in cui lo stile di vita stesso è stato investito del significato stesso dell'arte → vita di rottura, di rinuncia e di denuncia.
Anche tramite lo yoga si vivono diversamente tutti gli aspetti quotidiani.
8/11/2011
Conosci te stesso → principio dominante della filosofia socratica. Foucoult sottolinea come il principio socratico non possa essere disgiunto dal concetto di cura di sé...vanno assieme. Principio più ampio che è quello dell'anima → e in generale del bios. Principio più ampio dell'approccio razionale della cura di se stessi → da questo nasce tutto il tema dell'estetica dell'esistenza → attenzione per l'esistenza in tutti i suoi aspetti che diventa per il filosofo antico un godere di se stessi considerando la propria vita un'opera d'arte.
Cinismo Transtorico → forme di esistenza che vengono considerate da chi le vive come uno scandalo (Asceti, rivoluzionari, artisti), un rompere gli schemi per seguire la verità. Non c'è nulla di rottura nel fare della propria vita un'opera d'arte nel senso solo del bello...Non tanto “bello” in quanto tale, ma una vita carica di verità. La vita diventa un modo di esprimere la verità. → ogni momento diventa aspetto della verità e quindi non ci sono momenti separati dalla vita.
Da Socrate all'estetica dell'esistenza (ogni momento arriva come prova per una sempre più grande conoscenza di se stessi).
Seneca → Letizia (piacere estetico, spirituale, carico di significato etico → gioia!) si contrappone al piacere fisico (voluptas). La potestas sui è la padronanza di se stessi, la messa la prova di sé nei sensi. La letizia per gli antichi è un concetto che coinvolge tutta l'anima (ascoltare minuto 11 per capire cos'è l'anima). Cinismo → apice del rapporto tra verità e vita e prassi per il fatto che è attraverso la propria vita che si testimonia la verità.
Quando la filosofia ha cominciato a essere qualcosa di astratto? Quando è nata la scrittura, quando gli antichi hanno iniziato a riportare nei testi ciò che prima era oggetto di dialoghi diretti. Destinatario diventa un uomo universale fuori dal tempo contingente e quindi il riferimento cambia così come cambia la portata dei discorsi → Hadot mostra come la filosofia abbia un origine molto più vicina alla vita degli uomini.
Agostino e Boezio → fase transitoria : la filosofia è sia discorso rivolto a pochi che si occupa di cose concrete, ma anche rapporto con lo scritto rivolto all'astrazione. Dopodiché arriverà a prendere il sopravvento, con la filosofia moderna, la fase della filosofia astratta su quella pratica.
Agostino → rapporto con la propria interiorità. Socratismo: rapporto con la propria interiorità basato sulla razionalità → sufficiente riportare sul giusto binario i propri pensieri dopodiché puoi mutare la tua condotta di vita. In età ellenica Stoicismo di Seneca o plutarco → esame di coscienza, interiorità silenziosa → l'uomo può essere turbato in un modo più profondo rispetto al socratismo, forma più ampia di sofferenza interiore. Si diventa per se stessi un problema più sfuggente. → questi esami di coscienza si risolvono in un controllo, attuato dallo speculator, al fine di correggere alcune pratiche...in maniera pratica. Si problematizza di più il rapporto con se stessi, ma il modo di risolvere il problema con se stessi è ancora legato alla praticità del socratismo.
Tutto ciò cambia con il cristianesimo → nasce il problema del tormento interiore e del peccato.
Grande spartiacque che si genera già a partire dal dualismo platonico.
Nelle Confessioni Agostino rende conto dei grandi tormenti interiori che nascono in lui nel momento in cui cerca di abbracciare la fede cristiana, ma non riesce ad adattarsi alle sue regole → continua a peccare, nonostante vorrebbe cambiare. E' preso in una stretta. Fino a quando non udì la parola di dio sussurrata all'orecchio, continuò a fare la sua vita di peccatore → la conversione non è più quella fideistica, ma un credere profondamente al punto da modificare la sua vita.
Quello che cerca è una secura felicitas → felicità calma e stabile in accordo con la vita di Gesù.
8° libro delle confessioni → si parla della scena della conversione in cui è dio che lo porta a una reale conversione → è l'intervento esterno che porta alla verità e all'agire coerente → la ragione non è più sufficiente... Anche se Agostino si pone come difensore dell'uso della ragione.
Le confessioni sono opera inedita e rivoluzionaria: racconto autobiografico → esempi (exempla). Strutturate come un dialogo tra Agostino e Dio.
Il dialogo tra Agostino e Dio è destinato a noi ed è per noi che il suo dialogo costituisca un esempio.
Mostrare lo stato di sofferenza e miseria per indicare la via ai suoi lettori come un maestra faccia vedere una strada verso la salvezza. Non essendoci molti capaci di leggere, le confessioni vengono scritte come una messa in scena.
Bildungs Roman → romanzo di formazione (epoca romantica → ricerca di se stessi nel viaggio) → i critici videro nelle confessioni (400 dc) un precursore di un genere in cui un'anima pellegrina verso l'avvicinamento a Dio. Da dissoluto a redento!
Perché confessarsi → “per eccitare i cuori, per convincere e per insegnare”. Non si tratta di fare il punto su se stesso, ma neppure uno scavo interiore (confessione cristiana rivolta a un sondare qualcosa di sfuggente, o seduta psicanalitica alla ricerca di qualcosa che non sappiamo cos'è) 3° via → denuncia di un passato negativo per riuscire a indicare una via, trovata in maniera più facile rispetto a quanto non abbia saputo fare lui.
Agostino vuole essere una guida che aiuti a trovare una via per evitare errori.
Non vuole fare trattati, ma racconti per riuscire a trasmettere meglio verità morali! → cosa già nota agli antichi (Aristotele (nell'Etica di Tomaco) già disse che la circostanza concreta permette di afferrare verità morali in maniera più profonda).
Etica della narrazione (Marta Nussbaum “il giudizio dei poeti” interessante approfondimento → se gli avvocati leggessero più testi di letteratura, saprebbero fare meglio il loro lavoro) legame tra la vita scritta e la vita etica reale → narrazione come veicolo per la comprensione etica!
“Il maestro e la parola” Agostino → tutti i dialoghi di Agostino sulla parola. (389dc)
Protagonisti: Maestro (Agostino) e l'allievo (il figlio Adeodato):
Il tema è duplice: linguaggio e insegnamento: che cos'è l'insegnamento e cosa è il maestro, cosa è apprendere e cosa è insegnare. Per introdurre a cosa è l'insegnamento inizia con un'analisi del linguaggio → c'è chi lo considera un testo pedagogico, o di filosofia del linguaggio.
L'autrice è una grande esperta di Agostino.
Struttura dialogica Socratica → maestro che incalza e maieuticamente fa uscire la verità all'interlocutore.
Perché parliamo? Adeodato risponde: per insegnare ed apprendere e Agostino risponde che invece parliamo solo per insegnare, persino quando interroghiamo → incalzare con le domande l'allievo si ottiene il livello maieutico della verità. Interrogando possiamo anche mostrare il nostro stato di conoscenza.
Agostino è un socratico → quando chi sa interroga chi non sa, lo fa perché pensa che all'interno ci sia la verità → aiutarlo a trovarla dentro di sé → Maieutica.
(Il De magistro termina con una teoria pedagogica su che cosa è il maestro)
Ma c'è anche un altra dimensione del parlare che è...ricordare. Esempio, quando preghiamo non vogliamo insegnare a Dio qualcosa ;-), ma la preghiera è ciò che dio ci ha insegnato per ricordare alle nostre menti delle verità. L'anima ha dimenticato qualcosa ed è sufficiente farla riemergere maieuticamente.
Imparare è sparito... La parola non serve ad altro che a insegnare o ricordare.
Agostino fa dire ad Adeodato cosa sono le parole: Le parole sono segni e in quanto tali significano qualcosa.
Agostino dà ad Adeodato una frase da analizzare affinché egli dica cosa significato i segni che la compongono.
Si – significa “dubbio”
Nil – significa “nulla”
Ex – tradotto in italiano è “da”; adeodato prova a dire “e”, poi dice che significa “separazione”
Adeodato si vede poi interrogato sulle cose stesse che le parole significano → chiede ad Adeodato di indicare le cose di cui le parole sono segni. Adeodato dice che è impossibile poiché sarà sempre impossibile uscire dall'utilizzo di altre parole → impossibile, secondo Adeodato, uscire dal linguaggio.
Agostino gli dice “si che puoi. Indicando con il dito” → con l'ostensione si può rispondere senza utilizzare altre parole. Adeodato ritiene comunque di no poiché anche i segni sono linguaggi. Agostino però gli dice che per spiegare cosa significa camminare si può FARE il gesto del camminare.
10/11/2011
Parliamo per insegnare o per ricordare. Anche pregando ricordiamo cose alla nostra mente.
Le parole sono segni e i segni servono a spiegare qualcosa.
Agostino chiede ad Adeodato se può mostrare le cose di cui le parole sono segni → c'è la possibilità dell'ostensione (indicazione) → Adeodato però dice che anche l'indicazione è una forma di linguaggio (pag.93 non vedo nulla che non si possa indicare con segni.)
Agostino però dice che la possibilità è mostrare direttamente: FARE la cosa Es. Camminare.
Adeodato ha comunque obiezioni e Agostino ha anche lui obiezioni (come si fa a mostrare cosa sia camminare se si sta già camminando) Concordano quindi, che è possibile mostrare una cosa senza segni se non stiamo già facendo la cosa richiesta (camminare).(pag.95)
A questo punto Agostino annuncia la tripartizione usata per annunciare cosa è il linguaggio nel loro dialogo:
3 Casi :
Segni che rimandano ad altri segni (si cerca di capire il rapporto tra segni)
Cose mostrate (senza ricorrere a segni)
Segni che mostrano cose (pietra che significa l'oggetto)
Nel dialogo il 3 viene spiegato prima del 2.
1) All'inizio, Si analizza il rapporto tra parola e nome a) si analizza che cosa è parola. (pag.99)
Def. Parola è ciò che è pronunciato mediante voce articolata e con un significato.
Parola scritta è un segno del segno che pronunciamo con la voce (il parlato viene prima...strano). I segni scritti indicano un passaggio in più.
Sonus e Significatus (De Soussure parla di significante e significato)
Anche però il nome è un segno udibile con un significato...
Ora definisce cosa è il nome → cosa si intende significare con il nome: Adeodato fa esempi
Romolo, Roma, Fiume e Virtù → cose significabili! Tutti questi esempi di cose precise entrano nella categoria più ampia dei nomi (che rimandano a cose concrete), ma sono anche parole.
Roma è un segno che ha un significato e rimanda alla cosa concreta.
Poi occorre precisare la distinzione tra il termine nome e quella specifica.
Def. Il nome è il segno udibile di segni udibili (serve solo a definire il termine NOME), mentre le altre parole/nomi rimandano direttamente agli oggetti.
Fiume è il segno di una cosa visibile.
Allora che cosa è la parola rispetto al nome → la parola è il segno di un nome.
Agostino chiede che differenza c'è tra parola e nome? Adeodato risponde: penso che ci sia questa differenza: Quando dico in generale NOME sto dicendo una parola, quando dico fiume sto dicendo un nome
Il rapporto fra nome e parola non è reciproco → Parola → Nome → Romolo, ecc. (segno grafico o verbale) → Cosa
Parola è l'animale (genere), il nome è il cavallo (specie)... Solo alcune parole sono nomi. Altre sono altro. Non tutte le parole sono nomi mentre tutti i nomi sono parole.
Solo i nomi hanno un significabile concreto.
Quando pronuncio la parola “parola” e in generale quando pronuncio un segno oltre a rimandare al significato del segno rimando al segno stesso.
Se pronuncio congiunzione o qualsiasi altra parola non ottengo mai un rimando a se stessa: “parola” è l'unica parola, assieme a “nome” o “segno”, che rimanda anche a se stessa → la parola congiunzione rimanda solo al suo significabile. La maggior parte delle parole non sono incluse nel loro significato.
Par. 2 Agostino parla dei segni che significano a vicenda. Esistono?
Congiunzione → se, oppure, infatti → se è una congiunzione si significano a vicenda? NO.
Non possiamo usare se e congiunzione come sinonimi anche se uno rimanda all'altro. Quali sono allora questi segni che si significano a vicenda? La reciprocità deve essere data dal significato.
Parola e nome → nome è significato di parola tanto quanto parola è significato di nome.
(pag.107) → in cosa differiscono tra loro nome e parola? Con parola intendiamo tutto ciò che si pronuncia verbalmente.
Ogni nome è una parola è ogni parola è un nome!
17/11/2011
Parole che significano cose diverse in lingue diverse.
Agostino in cerca di segni che si significano a vicenda aveva preso in esame segni che significano anche se stessi: “parola”.
Non tutte parole sono nomi, ma tutti i nomi sono parole.
Ora Agostino sostiene che ogni parola è un nome, spiazzando Adeodato.
Pag. 107 → tutto ciò che esce dalla bocca... Quando emettiamo un suono che ha significato abbiamo il “verbum” (voce che giunge all'udito) e il “nomen” (il significato): ogni parola è sia nomen che verbum.
Agostino vuol dimostrare ad Adeodato che ogni parola è un nome e quindi (1° esempio) anche un pronome è un nome. Perché? Perché sta al posto di un nome. Anche il pronome è un nome.
Adeodato non è convinto → 2° esempio → Nel vangelo Dio è chiamato EST → colui che è. Cioè il nome di Dio è “E'” cioè un verbo...questo dimostrerebbe che anche un verbo può essere un nome.
Adeodato non è molto convinto. Agostino ora (3° esempio) sostiene che qualsiasi parte del discorso se una parola nomina qualcosa, questa parola è un nome. → è sufficiente per Agostino che qualsiasi cosa dia nome a qualcosa, la definisca, per essere considerata un nome.
“Poiché è un uomo è un animale” per Agostino la frase non ha senso. Lo avrebbe se al posto di poiché ci fosse un “se”. “Il se piace il poiché dispiace” dicendo questo ha costruito due nuove frasi in cui i due verbi si riferiscono a...due “nomi”. → questo ci dice (e Agostino ci dice) che qualsiasi cosa che si riferisce a qualcosa è un nome! Questo fa ribaltare la posizione di Agostino dal momento che ha cambiato il piano della sua analisi: dal grammaticale al semantico.
Nomen et vocabolum... (par.17)
Nomen e onoma → segni diversi con stesso significato → che si significano a vicenda (lingue diverse).
Agostino chiede ad Adeodato dove stanno andando e perché!!! (in ogni caso il riassunto facilità la comprensione di ciò che prima era molto confuso).
Allenare ed esercitare → ciò che ti sto facendo fare è un esercizio attraverso giochi che forse di per sé non valgono molto, ma servono per arrivare a godere della beatitudine della verità.
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Par. 22 Ci reimmergiamo nell'analisi dei segni che rimandano alle cose (dopo aver analizzato i segni che rimandano ad altri segni):
Ad Agostino interessa mostrare ad Adeodato il rapporto di valore tra i segni e le cose (le cose valgono più dei segni).
Agostino chiede provocatoriamente ad Adeodato se l'uomo è uomo! Quando pronunciamo le due sillabe uomo, intendiamo l'essere umano → quando pronunciamo una parola non pensiamo alle sillabe, ma al suo significabile, cioè...l'essere umano.
Quando parliamo emettiamo solo dei segni i quali rimandano alle cose (un leone uscì dalla sua bocca) … tutte strategie che Agostino usa per dire ad Adeodato che il mondo dei segni serve solo a riferirsi alle cose. I segni sono solo strumento per un fine più alto...qualcosa che ha più valore dei segni stessi. Quando penso a una parola non penso alle sillabe (i segni) che la compongono, ma al suo significato.
I segni li usiamo per arrivare ad indicare un significabile → la parola è al servizio della cosa e quindi ha meno valore. Adeodato sostiene esattamente il contrario → la parola vale molto più della cosa → esempio della “melma” → preferiremmo essere in contatto con la parola o con la cosa?
Anche la conoscenza della cosa non è da preferire alla conoscenza del segno (senza spiegazione).
Agostino dice “costui è istupidito dal vizio” … non basta leggere la parola virtù o vizio per diventare virtuosi o viziosi...occorre entrare in contatto con la cosa.
A questo punto (par.28) Adeodato ammette che la conoscenza di ciò che una parola significa (la cosa) è superiore al segno stesso
Inizia la trattazione de “le cose mostrate senza segni”!
Agostino chiede se è possibile.
Adeodato trova che non vi sia nulla che si possa mostrare senza un segno → neppure camminare (si potrebbe pensare che se mostro camminare da qui a lì, camminare voglia dire solo fare un pezzo di strada da qui a lì).
A questo punto del dialogo occorre credere che non vi sia nulla che possa essere fatto fuori dal linguaggio → senza i segni non si può insegnare nulla! (par.30) Tutto è (sembra essere) linguaggio.
3° parte → par. 31 → riassunto → tutta questa fatica per sapere se
si possa insegnare senza segni → NO
se ci siano segni da preferire a cose → NO
se ci siano cose da preferire ai segni → SI
A questo punto Agostino si chiede se siamo sicuri dei risultati ottenuti? Agostino inizia a dimostrare ad Adeodato che ci sono cose che è possibile insegnare senza segni. Nulla può essere insegnato con i segni.
Esempio dell'uccellatore: insegna a cacciare gli uccelli, senza usare segni. Adeodato chiede se non sia come per il camminare o camminare di fretta. Agostino dice no, poiché è sufficiente che l'allievo abbia un po' d'intelligenza per capire che tutta la tecnica non può risolversi nei gesti specifici, ma derivare la tecnica dall'analisi del complesso. Agostino cerca di dimostrare che si può insegnare senza segni, esempio della tecnica dell'uccellatore → occorre che l'allievo sia sufficientemente aperto da capire che ciò che sta facendo è la tecnica e non i singoli gesti (critica al discorso di Adeodato riguardo all'atto del camminare).
Par. 33 → se studiamo le cose più attentamente dovremo ammettere che nulla può essere insegnato con i segni (supremazia delle cose sui segni).
Se non conosciamo una cosa, la parola non ci serve a nulla.
Inizialmente la conoscenza dei segni è inferiore alla conoscenza delle cose. Dopodiché si arriva a pensare che nessuna cosa può essere insegnata senza i segni...Agostino dice siamo sicuri? (esempio dell'uccellatore).
Esempio delle Sarabare (Daniele 3.94)....”e le loro sarabare non erano state danneggiate” (copricapo o capo d'abbigliamento) → Agostino vuole significare che se mi attengo solo alla sfera dei segni, ignoro cosa siano le sarabare → solo vedendo la cosa Agostino ha conosciuto la cosa (occorre saper collegare la cosa al segno) → si apprende il segno dice Agostino, tramite la cosa e non il contrario → non apprendiamo niente da quei segni che chiamiamo parole, impariamo solo dalle cose stesse e poi possiamo imparare a collegare la cosa conosciuta a un segno (critiche di wittgenstein ad Agostino). Si apprende il segno tramite la cosa e non il contrario → finché non ho incontrato la cosa non potrò sapere di cosa sto parlando. Dunque a cosa serve il linguaggio? O a ricordare, se la cosa l'ho già vista, o se non l'ho mai vista, posso essere invitato a cercare la cosa (esortazione).
A ricordare quindi o esortare a cercare.
18/11/2011
Esempio dell'uccellatore → insegna con l'esempio.
Se conosciamo solo la parola senza conoscere la cosa, sentire la parola sarà un invito alla conoscenza...nel momento in cui ascoltiamo una frase occorre sapere cosa sono le cose a cui si fa riferimento nella frase, per capire la frase. Per comprendere la frase devo conoscere le cose.
Agostino vuole convincerci che con i segni io non imparo nulla.
Ora Agostino parla di quella verità a cui non si può giungere senza esercizio → allenare le forze dell'intelletto per comprendere e amare la verità.
SECONDA PARTE DEL dialogo dedicata al maestro interiore → si può comprendere e amare solo avendo compiuto tutto l'esercizio degli scorsi giorni → non posso imparare attraverso le parole ed i segni poiché noi apprendiamo non rivolgendoci alle sue parole, ma solo guardando alla verità che sta dentro di noi. Questo è un richiamo alla lettera agli Efesini in cui cristo è chiamato “uomo interiore”.
Significa che quando conosciamo o conosciamo verità sensibili (cose e quindi dobbiamo rivolgerci alle cose stesse) o se si tratta di conoscere una frase fatta di cose che non abbiamo visto, occorre conoscere le cose che vengono descritte nel racconto e potrò credere che le cose siano andate così come viene raccontato.
3° caso → verità intelleggibili → non c'è altro modo per conoscerle che guardare dentro se stessi. Idea che ci sia dentro di noi un maestro che ci dice la verità.
Colui che crede di apprendere da un maestro esteriore, in realtà apprende poiché guarda dentro se stesso. → puro occhio interiore che insegna che qualcosa è veramente così. Non siamo ammaestrati dalle parole di un maestro, ma dalle cose stesse che sono dentro di noi e si rivelano poiché c'è Dio che ci dice che sono proprio così.
Dialogo socratico → l'interlocutore non crede alla posizione del maestro. Il maestro lo incalza con domande → l'incalzare del maestro scopre all'interlocutore certi aspetti è come se l'interlocutore non riuscisse a vedere tutta la cosa inizialmente, ma poi emerge piano piano (è Agostino che descrive i dialoghi socratici). Secondo Agostino non sono le parole del maestro che inducono a vedere la verità, ma le parole servono solo a insegnare se l'allievo è idoneo a imparare interiormente → chi abbandona la conversazione, secondo Agostino, non è idoneo a imparare. I dialoghi, secondo Agostino sono dei “sondaggi”.
Secondo Agostino ci sono solo 3 modi d'approcciare gli insegnamenti del maestro esterno:
L'allievo sa già tutto e allora potrà CONFERMAre l'insegnamento
Sa che è falso e quindi NEGA il maestro
Non sa e allora CREDE o DUBITA.
NESSUNO di questi 3 atteggiamenti E' IMPARARE.
Adeodato ha risposto spontaneamente → aveva già le risposte dentro di sé...le risposte erano già dentro di sé.
Il maestro è necessario? Lo possiamo derivare da Socrate, Agostino e Boezio... Non è mai un insegnamento che trasmette sapere, ma è vero che occorra qualcuno per arrivare a porre domande a cui le risposte vengano spontanee.
Abbiamo talmente bisogno di un maestro che occorre che ognuno possa sdoppiarsi per ritrovare un maestro dentro di sé → l'esercizio si compie da soli. Il ruolo dell'insegnante è davvero fragile, in bilico, in dubbio... il maestro è una figura in dubbio.
Il dialogo socratico già ci fa pensare che occorra sempre un maestro. Nel De magistro Agostino ci dice, ma ce lo dice mentre ci mostra che è il maestro che conduce il gioco, che il maestro esterno non è necessario.
Par.41 → invano ascolta i discorsi di un maestro colui che non sa condurre i propri discorsi da solo.
Discepolo della verità (vede in se stesso la verità) → giudice (non discepolo) di chi parla o giudice del linguaggio stesso!
Perché non s'impara dalle parole del maestro: il discepolo può cogliere nel discorso del maestro delle verità di cui il maestro non è consapevole. Esempio dell'epicureo che espone argomenti sull'immortalità dell'anima, contro l'immortalità dell'anima → l'allievo vede che quella dottrina esposta dal maestro è vera... Ognuno può vedere delle verità che colui che insegne non vede nelle sue stesse parole.
Le parole non hanno nemmeno il potere di rivelare il pensiero di colui che sta parlando (chi mente, chi si sbaglia, chi parla senza conoscere, ecc.).
Difetti del linguaggio → 1) casi in cui si dimostra che non c'è relazione tra parola e pensiero (imparare e memoria o lapsus, chi parla è convinto di essere chiaro, ma è chiaro solo a lui...).
2) Parole che hanno significato ambiguo; fraintendiamo poiché non capiamo bene, udendo male.
Fino a qui si è dimostrata la scollatura tra pensiero e parola.
Resta da capire se ciò che ha detto il maestro è vero o no... per saperlo non possiamo rivolgerci nuovamente al maestro → dobbiamo chiederlo a noi stessi. Nessuno manderebbe il proprio figlio a scuole per apprendere ciò che il maestro dice, ma per apprendere delle verità.
Dopo che il maestro ha parlato l'allievo apprende, giudicando se ciò che il maestro ha detto è vero o falso. Ascoltare la verità che dentro di noi Dio ci dice essere vero rispetto a ciò che ascoltiamo.
Non occorre lodare il maestro poiché ha insegnato qualcosa di vero, ma perché è un uomo dotto che sa le verità → l'apprendimento avviene guardando dentro se stessi, ciò che viene da fuori è solo uno stimolo. Il maestro dice la verità e quindi merita una lode in quanto uomo dotto che sa la verità, ma io ho imparato solo guardando la verità dentro di me. Certo le parole sono utili, ma non è bene conferire troppo valore alle parole → l'unico maestro è nei cieli (Dio) → cosa vuol dire nei cieli lo insegnerà dio stesso, dal quale siamo invitati attraverso dei maestri a tornare interiormente a lui (a guardare in noi stessi) → quindi siamo invitati ad avvicinarci a Dio e questo contatto con noi stessi è facilitato dai maestri esteriori. Pag. 169 → L'allievo può non essere in grado di imparare. E' molto poco ciò che si impara tramite il linguaggio. Adeodato ha conosciuto il proprio oracolo interiore.
Secondo Agostino c'è un dialogo costante tra noi e il nostro maestro interiore...tra l'anima e il maestro. Il maestro (dio)è qualcuno che è sempre disponibile a insegnare; l'anima può avvicinarsi o allontanarsi dal dialogo con il maestro. Attraverso la buona volontà si vive bene e conosce bene...
--- Idea del dialogo costante → pensare è dialogare con noi stessi. (Socrate e Agostino → pensare è dialogo con noi stessi. Non siamo soli, ma una parte di noi è abitata da un altro).
--- Lo scolare sa solo ciò su cui, se ben interrogato, sa rispondere. Non sa ciò che il maestro gli insegna... non è l'insegnamento che fa apprendere è un buon interrogatorio che fa emergere le cose che l'allievo sa.
Con Agostino, nonostante l'aspetto fideistico, siamo vicinissimi a Socrate → l'allievo sa ciò a cui si arriva attraverso il ragionamento.
Il pensiero è un atto! Un'attività come sono attività fare altre cose più concrete. Il dialogo con se stessi è considerato un gesto → imparare richiede l'esercizio di un atto : il porsi in ascolto (atto di buona volontà è proprio non considerare tutto il resto e andare avanti nel rapporto con se stesso).
Cosa ci insegna questo dialogo? Impossibilità d'insegnare → critica del linguaggio, ma ci mostra anche che il maestro è essenziale per farci compiere l'esercizio grazie al quale possiamo arrivare a comprendere la verità.
Perché per arrivare a esporre questa verità è stato necessario tutto questo complesso discorso sul linguaggio? Occorreva farlo per esercitare le forze dell'intelletto, facendo una ginnastica intellettuale anche su questioni secondarie... Era necessario fare tutta questa fatica? Perché?
Per verificare che Adeodato fosse pronto ad apprendere la verità guardando dentro di sé.
L'atto del pensiero è talmente vero che è un evento che la verità è il risultato di un'attività.
Le persone intellettualmente più forti, dice Agostino, devono percorrere un percorso verso la verità più difficile rispetto ai semplici che arrivano per fede.
La verità è il risultato di un'attività così come per Socrate verità era arrivare al non-p (risultato attraverso un percorso).
La verità per Agostino si consegue anche con il ragionamento, altrimenti non avrebbe scritto il De Magistro.
22/11/2011
Non ci sarebbe stato arrivo se non attraverso il percorso. Pensare è un atto. Un parallelo con il dialogo socratico è una verità risultato di un processo (arrivo al non P).
In ogni situazione ognuno interpreta ogni evento in maniera molto personale → un volgerci verso noi stessi.
Critica molto forte all'idea dell'insegnamento come trasmissione diretta del sapere (per Agostino in senso ironico → attività che si fa compiere all'allievo) → così come si critica il linguaggio in senso ironico, in realtà è il linguaggio che permette al maestro di dialogare con l'allievo e all'allievo con il proprio maestro interiore.
Su questa ambiguità tra ruolo del maestro e linguaggio (sono importanti? Ci vogliono, oppure no?) l'approccio è diverso tra Platone, Agostino e Boezio.
Boezio → figura dalla vita molto particolare; filosofo e importante uomo politico.
Condannato e ucciso tra il 524 e 525 dc. All'eta di 40 anni circa. E' grazie a Boezio che la cultura greca e antica è entrata nel mondo medievale. Il suo progetto era tradurre tutta l'opera di Aristotele → si era prefisso di divulgare la filosofia. Mediatore tra due culture: ultimo degli antichi e il primo degli scolastici (commento dei testi antichi).
E' riuscito a tradurre e commentare alcuni testi di Aristotele. Autore degli “opuscoli teologici” → si occupa del tema della persona a partire dal problema della trinità. Inventore del termine quadrinium. Ma soprattutto rimasto famoso per il testo “la consolazione” → testo molto particolare. Determinato da un evento decisivo e drammatico della sua vita → in carcere scrive la consolatio. Perché finisce in carcere? Aveva perso i genitori ed era stato adottato da Simmaco che diventa anche suo suocero → lo avvia alla vita politica. Boezio occuperà cariche importantissime. In quanto maestro di palazzo, Boezio incorre nella condanna. Si trova ad operare alla corte di Teodorico il re goto che invase l'Italia. La sua corte era a Ravenna. Cambia il papa dopo Armusda viene eletto papa Giovanni. Questo crea grossi problemi a Teodorico → egli teme che con l'elezione di Giovanni legato alla chiesa d'oriente, si potesse creare un'alleanza tra latini e orientali ai suoi danni.
Boezio difende Albino accusato tramite lettere di tramare contro Teodorico. Saltano fuori altre lettere che accusano Boezio stesso di tramare contro Teodorico.
A Pavia in carcere scrive la consolazione di filosofia e viene ucciso senza essere neppure processato.
Consolazione: Stile molto particolare poiché scritta in prosimetro → metà in versi e metà in prosa.
Ci sono altri due testi scritti prima con questo stile: le nozze di mercurio filologia di marziano capella (hanno contenuto filosofico), ? (non hanno contenuto filosofico).
La consolazione è l'unico dialogo scritto in prosimetro con contenuto filosofico! Dialogo sia socratico (dialogo maieutico affinché l'interlocutore si prenda cura di se stesso) che aristotelico (esortazione ad occuparsi della filosofia → esortazione a filosofare).
Anche Seneca e Cicerone avevano adottano il dialogo consolatorio rispetto ai problemi della vita.
Testo determinante di quella cultura antica, fatta per rendere felici gli uomini → 5 libri con struttura Klimax (ascendente) si raggiunge poco alla volta la vetta, l'apice alla fine.
Nel primo si racconta la situazione contingente di Boezio. Secondo libro → fase di confutazioni sulla credenze degli uomini (è qui che abbiamo una conversazione che si rifà ad una matrice cinico-stoica) → esercizi di povertà e astinenza per abituarsi a non avere bisogno di nulla.
Nel terzo libro si discute sullo stesso argomento (che cosa è il bene) non più di origine cinico-stoica, ma platonica (Platone sta sopra come livello...). Sia nel quarto che nel quinto libro il dialogo si rifà ad una filosofia neo-platonica (quella che ispira Boezio). La neo-platonica insegna verità più alte e profonde che comunque permisero d'arrivare al neo platonismo.
Libro 1°. Boezio triste e piangente. Il testo inizia con la parte in versi → le muse sussurrano parole al suo orecchio. Improvvisamente compare una donna la quale scaccia le muse accusandole di mettere solo miele nell'orecchio dedicandosi a “far ragionare” Boezio ingiustamente chiuso in carcere. Filosofia → vetusta donna con una ricca veste lacerata (dalle varie scuole che se la contendono) e porta ricamata una Theta (teoria) e una P (prassi) → incarna sia l'astrattezza della vita, ma anche la pratica della vita (non a caso consola nella pratica Boezio).
Boezio ha scelto di non parlare attraverso trattati (sul bene, sul male, ecc.). Intanto è una donna che spinge Boezio al ragionamento per condurlo all'essenziale. E' il dialogo con una donna a condurre a Boezio verso la verità → è il dialogo con un altro essere a creare il cambiamento. Donna per sottolineare (forse) la praticità.
Pag.5 → impossibile darle un'età. Chiede a Boezio di smettere il suo pianto e di occuparsi di porre rimedi (tema a noi noto → la filosofia come cura!!!). Inizia a indagare quanto è lucido Boezio → per richiamarlo a se stesso, filosofia gli ricorda la sua formazione filosofica. Boezio si riprende e riconosce di stare dialogando con Filosofia → dice Filosofia che in fondo è un po' colpa sua se Boezio è in carcere poiché ha sempre condotto una vita secondo giustizia, uguaglianza in quanto educato dalla filosofia e nella filosofia. Filosofia ammette di essere già stata responsabile della morte di Socrate...
Filosofia vuole ricondurre, con il ragionamento Boezio ai giusti principi per riportarlo ad essere nuovamente felice, attraverso il ragionamento filosofico. Possibile mutare la propria visione delle cose affinché guardando in maniera corretta i propri principi Boezio potrà mutare la propria sofferenza in felicità in quanto mitigata dal ragionamento. E' proprio l'aiuto della propria posizione filosofica che permette di rimanere saldi e continuare a prenderci cura di noi → la formazione filosofica come capacità di vivere serenamente (per Hadot occorre ritornare a pensare alla filosofia in maniera corretta secondo l'interpretazione antica → la filosofia permette di vivere bene!).
A questo punto Boezio si racconta fino alla sua condanna con il tono della lamentela (si conclude con il carme quinto: Boezio si appella al creatore dell'universo affermando che ha creato un mondo ordinato e giusto nel quale però può capitare qualcosa di profondamente ingiusto).
Filosofia annuncia che la sua cura consisterà in rimedi più blandi per arrivare in seguito all'utilizzo di “medicine” più vigorose (filosofia neo platonica) → solo un po' alla volta si arriva alla ragione.
Da subito si capisce che l'idea di Filosofia è che non siano le sventure a rendere infelice Boezio, ma il suo modo di guardare alle cose. Dire che in passato la fortuna sorrideva ed ora non sorride più, per Filosofia è un errore. Filosofia parte dall'idea che il creatore ha creato un mondo giusto (idea corretta di Boezio). Filosofia decide di partire da lì.
Boezio però non sa con quali fini e con quali strumenti sia retto il mondo → Filosofia mette in luce due cose che Boezio non sa vedere. Filosofia chiede a Boezio cos'è l'uomo e lui dice “un animale razionale” → a questo punto Filosofia pensa di sapere la ragion della malattia di Boezio → Diagnosi: 1) ha smesso di sapere cosa egli sia (di prendersi cura di se stesso). 2) Crede che gl'ingiusti siano felici e potenti e 3) crede che le faccende umane si susseguano in modo disordinato.
Ora somministra la cura → a partire dalla “scintilla” nella mente di Boezio che il progetto divino sia dovuto a un ordine nelle cose...
La consolatio è incompiuta... Filosofia è l'educazione filosofica di Boezio di cui egli fa un personaggio. Filosofia è colei che in lui porta fuori Boezio da se stesso, sdoppiandosi per arrivare a vedere le cose in maniera corretta, pratica, curativa.
Il grande tema del libro è la fortuna!
E' stato il mutamento della fortuna a sconvolgere tanto il suo animo → secondo Filosofia è completamente privo di senso lamentarsi della fortuna poiché tutto ciò che porta la fortuna 1) non dipende dall'uomo 2) e' instabile e fallace → non c'è senso che l'uomo soffra quando la fortuna se ne va. E' ovvio che i cambiamenti turbino la normalità, ma l'uomo deve affrontare il tutto con la ragione. Filosofia sostiene che quando la fortuna si prendeva cura di Boezio lo lusingava, ma in realtà si prendeva gioco di lui facendogli credere che tutto ciò fosse suo davvero (famiglia, successo, ecc.) → anche Fortuna diventa impersonificata da una donna → “se riesci a dimostrare che ognuna di queste cose siano mai appartenute a qualche mortale, allora riconoscerò anche che siano appartenute a te” → Boezio capisce razionalmente, ma questo non aiuta a sollevare il suo animo (diverso rispetto al dialogo socratico → mutato l'approccio razionale il gioco era fatto → adesso anche mutare razionalmente non permette di mutare l'affetto, lo stato d'animo). Pag 49 → negli infelici il sentimento dei mali è più profondo”, ma appena le parole cessano io ritorno a soffrire. Certo dice Filosofia, ma questa è solo la prima parte della cura. Ed elenca tutte le cose belle che Boezio ha, ma Boezio dice che ricordare le cose belle aumenta il dolore del presente.
Filosofia dice: questi non sono beni del passato, ma sono beni del presente. O meglio i veri beni non sono quelli che può portare o portare via la fortuna!!! → stoico era colui che rinunciava ai beni terreni per abituarsi a vivere solo con le cose davvero essenziali.
Beni che rimangono dopo la sparizione di fortuna → Affetto dei cari, affetto degli amici, ecc.
I beni portati dalla fortuna non sono beni veri → la ricchezza non è un vero bene poiché gli genera sofferenza della paura di perdere la ricchezza. C'è chi è ricco ma soffre per non poter avere figli o c'è chi li ha, ma sono fonte di sventura → nessuna di queste cose è sufficiente a rendere una persona felice. Tutto ciò che non dipende da noi non ci rende felici. Non c'è nessun bene esterno a noi che ci possa garantire una vita felice, non sarà mai soddisfatto. Se nessuno di questi bene non ci rende davvero soddisfatti, la vera fortuna va ricercata dentro di noi. Le ricchezze non placano l'avarizia, ecc. Nessun bene portato dalla fortuna è capace di eliminare altri mali; nessuno di quei beni è un bene in sé!
Filosofia sostiene a conclusione del secondo libro → “agli uomini giova più una sorte avversa” E' meglio per gli uomini che la fortuna li abbandoni → una sorte amica inganna poiché ti fa credere che tutto ciò che porta lei sia tuo!
Chi subisce il voltafaccia della fortuna non crede che la fortuna sia suo diritto → colui che è sventurato sa che la fortuna non dipende da noi → chi vede che non va tutto bene capisce meglio che la fortuna non ci appartiene. E' più lucido, non ha uno schermo di fronte agli occhi → coloro che vivono nella fortuna sono portati a pensare che lo stato delle cose sia “naturale”
Fortuna è rappresentata come una ruota. Secondo Boezio a governare il mondo sono provvidenza e fato (ciò che materialmente governa l'accadere degli eventi). L'avere fortuna impedisce di vedere che la fortuna è una ruota → Chi è sfortunato sa vedere che la sorte è casuale!!! Chi è stato fortunato non si rende conto facilmente della fortuna che ha avuto e che non dipende da lui!!!
Chi è sfortunato è tirato da un uncino...
23/11/2011
Chi ha il vero bene sarà felice!
Il neo platonismo è uno sviluppo della filosofia di Platone.
Scopo di Filosofia è condurre Boezio alla vera felicità.
I rimedi sono più ostici, ma una volta compresi rendono più felici... E' attraverso un cammino che si arriva a quale è il vero bene.
Tutti gli uomini, dice filosofia, tendono a un unico fine (eudaimonia platonica) che è la beatitudine → stato in cui non si ha più bisogno di nulla, in cui non si sente più nessuna mancanza (parallelo con Gorgia e metafora dell'uomo come un vaso bucato nel momento in cui anela sempre a qualcosa). Per raggiungere questo stato di beatitudine gli uomini utilizzano svariati mezzi (potere, piacere, ricchezza, onori, ecc.), ma anche con tutto ciò agli uomini manca sempre qualcosa (il ricco si lamenta magari perché ha umili natali, chi ha anche quelli si lamenta comunque di qualcos'altro).
Vera felicità è quella che fa si che l'uomo sia autosufficiente, degno di rispetto, potente, famoso (chi è degno di essere conosciuto dagli altri uomini), lieto → tutto questo è un'unica cosa!
Boezio riconosce che nessuna delle cose mortali porta ad avere tutti questi elementi (la ricchezza non dà certo questo).
Se i piaceri materiali non coincidono con questo stato di beatitudine, dove lo troviamo? In Dio. Chi è dotato di tutti questi elementi ? DIO! Solo lui ha in se tutto questo.
(Nella Consolatio Dio non è mai nominato...non dobbiamo intendere il dio cristiano. Anche l'Uno di Plotinio è da intendersi come dio → è da intendersi come il sommo bene! Nel lungo dibattito su Boezio ci fu un periodo in cui Boezio non venne considerato autore cristiano, poi si per alcuni passaggi in cui si può leggere un riferimento al vangelo.)
Tutti questi elementi che compongono lo stato di beatitudine tendono al sommo bene (all'Uno di Plotino). Tutte queste cose si cercano perché tendono al bene sommo.
Si cavalca perché fa bene alla salute, ecc.
Questa è la scintilla presa da Filosofia dal discorso di Boezio → dal momento che questo ordine del mondo lo chiamiamo Dio o sommo bene → è dio il creatore di un ordine perfetto e il fine delle cose è il sommo bene, cioè Dio.
Carme 9 (pag. 139) → poesia maieutica (socratica) → chi non vuole errare rivolga il suo sguardo dentro di sé. Ciò che si cerca fuori in realtà lo si ha dentro di sé.
Quando l'anima prende il corpo dimentica ciò che ha visto nel mondo delle idee → la maieutica serve a far rivedere ciò che si è scordato prendendo corpo umano (teoria platonica della seconda navigazione).
Filosofia: poiché tutto tende al bene, poiché tutto è stato creato in maniera perfetta e ordinata, allora il male non esiste! Con questo ragionamento si chiude il terzo libro.
Nel quarto libro si parla del male. Boezio accetta ciò che dice Filosofia, ma continua a soffrire.
Ciò che lo fa soffrire è il pensiero che esistano i mali nonostante ci sia un dio buono e coloro che commettono i mali spesso restino impuniti, ma addirittura coloro che commettono il male fanno scontare le pene agli uomini. Come è possibile che ciò accada se il bene governa ogni cosa. Filosofia ammette che non sarebbe possibile che Dio accetti di rompere i vasi buoni e lasci stare quelli cattivi.
I buoni sono sempre potenti e i malvagi sempre poveri → ai buoni capitano sempre circostanze fortunate e viceversa → i buoni vengono sempre premiati e i malvagi sempre puniti. Quando Boezio avrà compreso ciò le sue sofferenze saranno alleviate → Ora Filosofia vuole mostrare la “via per tornare a casa” dando “ali alla sua mente”.
La tesi è che la potenza stia sempre dalla parte dei buoni e quindi il male deve essere debolezza.
Perché il bene è forza? Per fare qualsiasi cosa noi dobbiamo avere due cose : potenza e volontà! Se voglio volare ma non posso o se posso volare ma non voglio, non compirò nessuna azione. Sarà debole chi manca di una di queste due cose.
Se tutto tende al bene, anche coloro che sono deboli e privi di forza (i malvagi), tendono anche loro al bene → i buoni sono coloro che riescono a tendere al bene poiché hanno potenza e volontà: coloro che hanno raggiunto il fine ultimo. I cattivi sono coloro che pur tendendo come gli altri al bene, non l'hanno ottenuto. I buoni, quindi sono coloro che hanno ottenuto il bene. I cattivi sono coloro che non hanno voluto o potuto ottenere ciò che volevano. Ok se non tutti possono, ma Boezio dice, c'è una contraddizione (se alcuni non vogliono) se è vero che tutto tende al vero (quindi voluto).
I “cattivi”. Coloro che non sono riusciti a raggiungere il bene possono avere sbagliato nel potere → hanno inseguito i falsi beni che ci porta la fortuna (multiformi passioni) → avrebbero voluto, ma non hanno potuto. Esempio di colui che vuole raggiungere una meta e poi a un certo punto abbandona. Sono privi di una potenza, sono privi di sé...minore presenza nel mondo → esistenze minori in quanto mancano di presenza, di potenza. Fanno il male poiché incapaci di fare il bene.
Perché alcuni mancano nel volere? Ha ragione Platone quando dice che i retori come i tiranni non siano felici solo perché fanno ciò che gli pare, ma non fanno il bene. Non ottengono il bene che desiderano, ma ottengono solo ciò che a loro piace. Perseguono ciò che essi credono essere bene → vogliono la cosa sbagliata.
Come mai capita che i malvagi restino impuniti?
Il bene è un premio in se stesso → quando si smette di fare il bene non si è più buoni. Chi gode del falso bene del potere usare ingiustizia, dono della fortuna, non sta in realtà perseguendo il bene. Sono beni passeggeri.
Il divenire beati (divenire quindi dei), è premio dei buoni che non può essere offuscato dalle vicende della vita. Seguendo questo discorso i buoni sono sempre premiati e i malvagi sempre puniti. C'è però, dice Boezio, anche il problema dei malvagi che agiscono a danno dei buoni.
L'azione malvagia è già di per sé la punizione di chi compie il male così come il bene stesso che compie è il premio di chi compie il bene. Chi attua il male è la peggiore punizione per il malvagio (pensarlo è meno) → se l'azione buona porta alla beatitudine chi compie il male porta alla infelicità!
Quando il malvagio desidera fare il male sarà ancora più infelice quando lo compie.
E' meglio pagare la pena che non farlo. La pena è un po' di bene in una condizione di infelicità.
Boezio capisce, ma non è soddisfatto. Se il male è punizione e il bene è premio, 1) non abbiamo bisogno di giudici 2) come è possibile che dal momento che il mondo è retto da un ordine, i malvagi non ottengono almeno quel po' di bene che gli deriverebbe dallo scontare un po' di pena? Diamo un po' di “bene” pure a loro ;-)
Filosofia risponde tornando alla sua tesi: Dio è buono e quindi tutto ciò che arriva da Dio è buono è giusto.
Arriviamo alla spiegazione ontologica (sulla struttura del mondo) di Filosofia sulla concezione del mondo:
Boezio continua a vedere che nel mondo c'è il male che stride con l'idea dell'ordine del mondo → almeno che i malvagi godano di un po' di pena per poter essere un po' più felici.
Filosofia allora spiega la differenza tra provvidenza divina e il fato → lei stessa dice che è la questione più difficile da indagare.
“Tutto ciò che accade riceve ordine, cause e forme dall'immutabilità divina” → questa è la Provvidenza Divina. C'è qualcosa di eterno e immutabile che imprime ordine forme e causa a tutte le cose, mentre tutte le cose che accadono sono chiamate “Fato”.
L'immutabilità divina è una rocca chiusa, eterna (visione aristotelica del motore immobile).
Il fato è ciò che stabilisce che le cose accadano e che accadano in un certo ordine.
Tutte le cose sono il prodotto di una volontà immobile ed eterna (Provvidenza: ciò che imprime la forma a tutte le cose). Il modo in cui le cose accadono è definito Fato → il fato è piuttosto una necessità che un caso.
Provvidenza → ciò che abbraccia in un solo sguardo tutto il divenire → non c'è successione temporale o spaziale → Tutto è visibile in un solo istante → Il fato determina tutto questo divenire, mentre la provvidenza vede tutto in un solo istante. Ciò che per la provvidenza è istantaneo per il fato si sviluppa con tempi e spazi.
Dunque ciò che agli occhi degli uomini sembra iniquo e ingiusto non è tale allo sguardo della provvidenza. Tutto è buono e ordinato → la provvidenza non dà mai sofferenze eccessive a chi non le può sopportare. Tutto è in equilibrio agli occhi di Dio, mentre ai nostri no. A volte provvidenza impartisce sofferenze perché non ci si insuperbisca (colui che è buono e tenderebbe a insuperbirsi...). Siamo noi che non riusciamo a comprenderlo, ma agli occhi di Dio tutto è ordinato poiché fa parte di un disegno ordinato. Solo per la provvidenza divina anche i mali sono beni, quindi tutto è bene anche il male che capita ai buoni poiché tutto serve a correggere.
Dal punto di vista della provvidenza la difficoltà è un occasione per entrambe le parte (il sapiente e il combattente) → ogni fortuna che sembra avversa se non viene correttamente interpretata, punisce → è nelle mani di ognuno. Se tutto è governato dalla provvidenza come possiamo essere liberi di trasformare noi stessi trasformando il male in bene o viceversa. Sembra che siamo nella possibilità di mutare la cecità in coscienza o la sventura in bene, ma come può essere se tutto è governato dalla provvidenza. Dove sta la libertà se tutto è governato dalla provvidenza?
Filosofia spiega che siamo liberi → la mente di Dio vede tutto in un istante, ma non preordina, noi siamo liberi di decidere cosa fare accadere → (non c'è mai sorpresa per lei, ma siamo liberi di sorprendere noi stessi).
La mente della provvidenza vedrà gli sforzi che faremo, lei sa già tutto. Filosofia dice che quella di dio non è una prescienza (non sa prima (cosa che prevederebbe l'idea di futuro)), ma vede tutto nel medesimo istante. Provvidenza è semplicemente la visione di dio (par.6.16): “la provvidenza è la scienza di un presente che non viene mai meno”.
Non c'è passato, presente e futuro → scienza e visione in un solo istante.
La si chiama provvidenza poiché è lontana dalle cose più basse e vede dall'alto le cose che per noi dovranno accadere: resta intatto il libero arbitrio e la giustizia terrena e resta intatto che l'uomo deve pregare dio per avvicinarsi a lui... La presenza di una provvidenza che sa già tutto, non deve influenzare tutto l'agire umano. Lei sa, ma lascia all'uomo la libertà.
A questo punto la consolatio rimane interrotta e finisce con un esortazione agli uomini perché si comportino correttamente.
Dal momento che gli uomini non sono in grado di vedere che anche la pena impartita al giusto è un bene, occorre che ci sia una giustizia terrena. Grande è la necessità di comportarsi correttamente poiché c'è una provvidenza che vede ogni cosa (libro di Ester → dimostrazione per alcuni della religiosità della prospettiva di Boezio).
L'esistenza della provvidenza non libera l'uomo dall'impegno a vedere nel male sofferto un bene.
C'è una volontà creatrice (provvidenza), ma non determinante.
La presenza di un dio che sa già tutto non influisce sulle mie azioni: le mie azioni sono dirette dal fatto che agisco per la mia felicità e quindi a questo dovrei tendere i miei sforzi (In questo senso la riflessione sulla presenza o meno di un dio che vede e sa già tutto...non mi interessa poiché non mi aiuta a comportarmi correttamente. Mi devo comportare correttamente solo per riuscire ad arrivare alla felicità! L'esercizio di pensare all'esistenza di Dio è inutile, mentre il pensare che c'è un bene come fine in sé da perseguire per essere felice è ciò che dovrebbe guidare i nostri comportamenti).
L'esercizio consolatorio è arrivare a far si che ciò che a Boezio appare come una sventura, non è tale!
L'idea di partire dall'idea di dio come ordine, della sua presenza come dato di fatto per capire che c'è un ordine, porta però poi a rendere superfluo l'idea stessa di dio poiché la nostra felicità dipende dalle nostre scelte, che verranno affrontate solo considerando che tutto accade, anche le disgrazie, con uno scopo, sempre che si consideri il vero bene il nostro tendere ad esso. C'è la presenza di dio come elemento creatore di tutte le cose e dell'ordine, ma anche una presenza che diventa superflua nel momento in cui importante è concentrarsi sulla libertà che abbiamo. Libertà d'interpretare le cose che ci accadono alla luce del bene che tiene insieme tutte le cose, per cui anche il male apparente è parte di un progetto più grande che tende al bene.
Nel momento in cui Boezio sa che è libero, sarà portato a modificare il proprio modo di vedere la propria sorte e la propria vita.
Abbiamo studiato 3 dialoghi in cui il rapporto maestro allievo è in una situazione di ambiguità → da un lato il maestro è indispensabile per ogni allievo per arrivare a vedere determinate cose, per mutare opinioni, ecc., dall'altro, come nel caso di filosofia, non è una persona, ma l'educazione filosofica di Boezio che diventa un personaggio, quindi non è realmente un personaggio.
Agostino arriva a dire che dal maestro non si apprende nulla → il maestro parla, ma è sempre guardando dentro di sé che avviene l'apprendimento. In un dialogo con il maestro interiore. Anche Socrate discute con i suoi interlocutori, ma egli dice di non essere un maestro → Socrate dice di fare qualcosa che tutti noi possiamo fare. E' più un esempio di ciò che noi possiamo fare con noi stessi.
A una lettura più approfondita il ruolo del maestro viene messo profondamente in crisi in tutti e 3 i dialoghi. Critica al ruolo dell'insegnante e dell'insegnamento. Agostino dice che non impariamo che da noi stessi e Boezio trova consolazione solo in se stesso.
Eppure però qualcun altro è necessario...perché è necessario che ci sia un altro, anche se quest'altro è in noi?
Questo bisogno di sdoppiarsi, di essere maestri di noi stessi ha un ruolo pubblico → dobbiamo fare di una parte di noi stessi, fare un personaggio “pubblico” → dobbiamo fare di una parte di noi stessi un maestro che ci porta lontano dalle convenzioni, parlando dentro di noi sostenendo delle tesi che possano essere valide per tutti. Questo maestro dovrebbe allontanarci dalla nostra privatezza.
Filosofia è una parte della formazione filosofica di Boezio che Boezio stesso utilizza per uscire da una condizione concreta di oppressione → la personificazione in un personaggio che è portatore di principi “pubblici”, non privati, “universali” capaci di portare fuori da noi stessi quelle parti che sono “oggettive secondo ragione”.
Wittgenstein → “conferenza sull'etica” → parla a degli studenti.
Il tema è cosa è l'etica.
Occorre analizzare alcuni punti della filosofia di Wittgenstein: due testi: 1) Trattatus logico filosofico e 2) Ricerche logico filosofiche. Di questi testi si occupa Hadot. La sua interpretazione di Wittgenstein determinerà l'intuizione che porterà Hadot a intendere la filosofia come era per gli antichi cioè come un esercizio spirituale.
Wittgenstein nasce a Wienna nel 1889 → ascolterà le lezioni di Bertrand Russel (filosofo della matematica dal 1911 al 1914. Si distingue subito dai compagni soprattutto per la sua passione per la logica → rapporto tra filosofia e logica. Russel dirà che in Wittgenstien riscontrò una fortissima tensione etica...in uno studioso di logica. Connessione profonda fra la logica e...”il problema della vita” (egli stesso lo definì così).
Come soldato austriaco viene fatto prigioniero in Italia a Cassino → continuerà a lavorare al Tractatuts Logico-philosophicus. Perché ha deciso di andare in guerra? Intenso desiderio di impegnarsi in qualcosa di difficile e di impegnarsi in qualcosa di diverso dall'intellettuale (secondo la sorella). Wittgenstein parla di “voglia di scoprire la verità su stesso” → faccia a faccia con la morte dice che ha la possibilità di crescere.
Il lavoro è associato alla bontà...Sia la guerra che il lavoro filosofico sembrano essere la via per lui per diventare un uomo migliore → il Tractatus risente di questa tensione.
Prima di essere fatto prigioniero, scopre il tema della povertà evangelica → apertura ad una visione mistica. Nel '18 il Tractatus è finito. Manda a Russel il testo il quale ne fa introduzione e viene pubblicato su una rivista in Germania nel 1919. Dopodiché viene tradotto e pubblicato a Londra.
Tornato in Austria, decide di essere fedele a quella ispirazione ed abbandona completamente la filosofia e decide di fare il maestro elementare in piccoli villaggi austriaci, proprio come il tractatus spinge a fare → allontanarsi dalla filosofia come da una malattia! Sceglie il silenzio filosofico. Negli anni 20 viene fondato il circolo filosofico di Vienna (Carnath, ecc) discutono il trattato, ma lui non ci va mai. Abbandona il lavoro nei villaggi (sembra abbia menato qualche bimbo) e torna a Vienna. Torna anche un po' sui suoi passi riguardo alla filosofia. Nel 1929 parte per Cambridge e nascono le riflessioni del secondo Wittgenstein → Insegna a Cambridge dal '30 al '35. Scrive il libro blu e il libro marrone, viaggia tra mosca e Norvegia e prende la cattedra di filosofia della mente (filosofia analitica e filosofia del linguaggio → tutta quella parte di filosofia che si occupa di questioni neurologiche) a Moore. Oggi vengono studiati assieme ai neurologi.
Dopo la seconda guerra mondiale scrive le sua seconda opera più importante “ricerche filosofiche” → muore di cancro a 62 anni nel 1951. Questa opera è il suo testamento filosofico.
C'è sempre un'irrequietezza di fondo in Wittgenstein legata alla ricerca di se stesso → non cerca tanto di risolverli, ma di eliminarli.
Il trattato è composto da proposizioni → 7 proposizioni e ognuna è seguita da proposizioni di commento con altre a commento del commento. Per numerarle usa una numerazione decimale 1.1.4, e così via. Importante che sia costruito così per mostrare l'importanza delle cose. Nonostante sia stato scritto così, non vuole essere un manuale (lehrbuch → libro (buch) della dottrina (lehr)) di filosofia.
Nella prefazione Wittgestein stesso ci dice che non vuole insegnare una dottrina, un sapere sistematico sul mondo. La filosofia di Wittgenstein vuole essere un'attività → il risultato di questa attività non è una serie di proposizioni filosofiche che ci danno un sapere filosofico sul mondo, ma vuole chiarire proposizioni che non hanno nulla a che fare con la filosofia → chiarire proposizioni oscure → chiarite queste cose oscure, avendo dimostrato l'insensatezza della filosofia, potrà/dovrà abbandonare la filosofia. Scopo del trattato è far capire che se non si può parlare su qualcosa si deve tacere → farla finita con la filosofia.
29/11/2011
L'attività consiste nel chiarificare proposizione non sensate, che riguardano i fraintendimenti della logica del linguaggio → il libro si può riassumere con “di tutto ciò che si può parlare si parli, di ciò che non si può parlare...si taccia”
Il trattato vuole tracciare un limite al pensiero → tra ciò che può essere pensato e ciò che non può essere pensato...più che al pensiero, vogliamo tracciare un limite all'espressione dei pensieri (al linguaggio) → tra ciò che è dicibile e ciò che non è dicibile (proposizioni filosofiche).
I problemi filosofici non sono veri problemi poiché in realtà non dovrebbero essere neppure presi in considerazione → tutto ciò che non si può dire deve essere semplicemente considerato un “non senso”. Il trattato è fatto per mostrare che tutti i problemi filosofici rientrano nel non senso.
W. Ci dice che siamo abituati ai fraintendimenti del linguaggio
Possiamo ovviare a questo errore tracciando un limite tra il dicibile e l'l'indicibile
Ci dice che possiamo dire con chiarezza ciò che si può dire (eliminando fraintendimenti e oscurità)
ciò che sta oltre deve essere taciuto...non c'è modo per esprimerlo
Questo limite è interno al linguaggio → non è il linguaggio povero per tradurre il pensiero, al contrario, noi possiamo pensare solo ciò che siamo capaci di esprimere con il linguaggio. Ci sono errori mentali che ci portano alla conclusione che ci siano pensieri che il linguaggio non riesce a esprimere.
In generale il pensabile è solo il linguistico → si pensa già con il linguaggio! Ciò che non ha senso linguistico non ha senso nel pensiero e viceversa.
a) W è convinto che tutto ciò che si trattava di chiarire è stato chiarito definitamente nel suo libro.
La filosofia è un errore (non senso, cattivo uso del linguaggio, fraintendimento). Se nel trattato si dimostra che tutto ciò che la filosofia dice non ha senso, il risultato è che occorre abbandonare la filosofia. Il trattato mostra che non ci sono pensieri filosofici nel campo del senso e dell'esprimibile.
Tensione etica → usiamo male il linguaggio → ciò parla di un errato modo di vivere e quindi di etica. Tutto il tormento interiore dell'uomo è indotto da falsi problemi → l'uomo dovrebbe porsi solo certo tipo di problemi e non altri che portano lontano.
Il paradosso è che scrive un trattato di filosofia per mostrare che la filosofia non ha senso... Risolve il paradosso dicendo che il trattato è come una scala: salita la scala occorrerà farla cadere poiché non ci serve più (lascerà perdere la filosofia sino al '29).
b) Quanto poco abbia (parallelo con la ironia socratica) valore occuparsi di queste cose (ironico poiché il valore che lui in realtà attribuisce a questo libro è totale poiché senza questa soluzione del trattato, l'uomo continua a porsi falsi problemi).
A noi interessa:
Cosa significa parlare correttamente
Che cosa è tutto ciò che non si può pensare
Che cosa è “il mistico” → proposizione 6.522 → W ci dice anche cosa vuol dire questo mistico che non si può mostrare, ma che tuttavia si mostra. Ciò che chiama mistico è ciò che non possiamo dire...ciò che è al di là del pensiero.
Ciò che alla scienza interessa è sapere se una proposizione è vera → questo interessa alla vita quotidiana, ma non interessa alla logica. Alla logica interessa sapere se una proposizione può essere vera. Perché una proposizione sia logica occorre che si possa dire se la proposizione è vera o falsa. Per avere senso la proposizione, occorre che ci siano le condizioni affinché si possa verificare la sua verità o falsità.
Ciò permette di distinguere quello che ha senso per la logica o per la vita quotidiana.
La proposizione è quindi un'immagine della realtà dove realtà è lo stato di cose (immagine di uno stato di cose).
Proposizione 1: Stato di cose è Tutto ciò che accade.
Parlo sensatamente se restituisco con il linguaggio la realtà (anche se non piove io posso parlare di pioggia) → il linguaggio si deve attenere all'immagine della realtà.
Tutto ciò che accade è un fatto (il mondo è fatto di fatti)
I fatti sono relazioni tra stati di cose. Il mondo è costituito da cose e da nessi tra le cose.
Il linguaggio rispecchia il mondo e quindi i nessi fra le cose → le frasi costituiscono nesso fra le cose e quindi esse stesse costituiscono la relazione tra le cose.
Il nome corrisponde agli oggetti semplici, le proposizioni corrispondono ai nessi fra le cose.
Le proposizioni danno voce alla relazione tra le cose e... POSSONO FARE SOLO QUESTO!
Quella filosofia che non si attiene a un fatto (cosa e nesso tra le cose) non deve essere presa in considerazione → il linguaggio è un'immagine del mondo. Io non posso dire nulla al di fuori del mondo.
La filosofia invece ha sempre costruito proposizioni insensate → tutto ciò che va al di là del mondo rientra in ciò che è indicibile
7° proposizione (ultima) → di ciò che non si può parlare si deve tacere. La prima cosa che la filosofia ha cercato di dire non potendola dire è “la forma logica”.
Indicibile = forma logica . Non posso parlare della forma logica, di ciò che pone in relazione una parola con l'altra...
Il simbolismo logico è tutto ciò che io uso per parlare dello stato delle cose (esempio l'uguaglianza) → il simbolo di = mi permette di esprimermi, ma non esiste una cosa come “uguaglianza” ma solo un rapporto tra le cose → Se io reifico l'uguaglianza (la faccio diventare cosa) potrei arrivare a frasi assurde (Socrate è identico).
Ciò che descrive lo stato delle cose non è una cosa a sua volta. Sbagliato è considerare il nesso fra le cose come fosse una cosa → Mi posso solo attenere allo stato delle cose, poiché l'uguaglianza, il bello, non sono cose sulle quali mi posso interrogare → il linguaggio può solo rispecchiare il mondo → il bello e il bene non sono fatti, quindi dell'estetica e dell'etica non si può parlare → nulla di ciò che è etico è un fatto. Parlarne mi fa vivere male poiché vivo in un'insensatezza. Vivo in malattia. Per vivere bene mi devo attenere allo stato delle cose.
Posso solo usare il simbolo o il termine di uguaglianza, bontà, bellezza, ecc. posso solo usarlo. Non posso far diventare oggetto del linguaggio qualcosa che costituisce solo un pezzo del linguaggio stesso poiché non sono una cosa!
Parlare di uguaglianza significa pensare l'impensabile facendo meta linguaggio.
I problemi profondi della filosofia ...in realtà per W non sono problemi, dal momento che considerano aspetti come il bene, il bello, il giusto, come cose in sé.
Dunque, ciò che W chiama forma logica è ciò che permette di rispecchiare nel linguaggio, la realtà. Ciò che permette di rispecchiare ciò che dico nello stato di cose, è la realtà → 1) non posso fare meta linguaggio 2) Mentre parlo, mostro la forma logica → mostro il mio linguaggio, ma non posso parlare del mio linguaggio. C'è qualcosa dunque che non posso pensare né dire, ma che pur si mostra.
Non posso dire qualcosa sul mondo che esca dal mondo.
6.44 indicibile non è come il mondo è, ma perché il mondo è (questo è un ineffabile, indicibile).
Ciò che è indicibile è mondo e linguaggio dei quali non posso parlare → posso parlare solo del mondo che si mostra e usare il linguaggio → parlando mostro sia mondo che linguaggio, ma non posso parlare né dell'uno, né dell'altro. Se lo faccio, penso male e vivo male! → concezione tradizionale della filosofia → quanto la filosofia mi può fare stare bene!
C'era ancora in quel periodo l'idea che il vivere male fosse dovuto a un errore del pensiero a un modo sbagliato di porsi i problemi, di considerare male i problemi. Non c'è ancora l'idea freudiana della rimozione alla base dell'inquietudine → è sufficiente rimuovere i falsi problemi per tornare a vivere bene.
Filosofare è solo un'azione volta a limitare ciò che si può pensare → filosofia come critica del linguaggio.
Prop. 6.54 → anche le proposizioni del trattato che mostrano le insensatezze, sono insensatezze esse stesse se sono state correttamente comprese.
Quando il filosofo avrà smesso di porsi il problema del bello del buono o del giusto vivrà rettamente.
Pierre Hadot → uno dei primi lettori di Wittgenstein → così affascinato dal modo di vivere dei filosofi antichi che tenevano la filosofia come “pratica di Vita” → rimane affascinato dalla praticità della formula Wittgenstainiana che tentando di guarire i limiti del linguaggio avrebbe permesso di arrivare a migliorare la qualità della vita → evitare di considerare problemi che non hanno senso, si può arrivare a considerare la filosofia come terapia.
Quando la filosofia verrà “bonificata” dal trattato → evitare di cercare la saggezza per diventare finalmente saggi! Questo considerare la possibilità di non interessarsi di falsi problemi può portare a vivere una vita più piena e libera → terapia che permette di vivere più intensamente più felici (questa è la visione di Hadot riguardo al pensiero di Wittgenstein).
Parallelamente a ciò che avviene tra Socrate e i suoi allievi, l'operazione che fa W con il trattato è simile poiché dopo aver letto il trattato, le persone dovrebbero cessare di occuparsi di falsi problemi → se faccio ciò vivrò meglio. Come una nebbia di fronte agli occhi ci impedisce di vedere, così considerando problemi che non sono tali, ci concentriamo sull'inutile in quanto insensato.
La rinuncia del trattato a porsi problemi oltre il limite non è un rinunciare a qualcosa che non si può raggiungere, ma un semplice restare aderente a ciò che può aiutarci a vivere meglio.
1/12/2011
Scopo del trattato → stabilire ciò che ha senso da ciò che non ha senso. Nel momento in cui
Da un lato ci sono i non sensi. Dentro all'uso corretto del linguaggio ci sono tutte le proposizioni che costituiscono l'immagine degli stati di cose. Una proposizione riproduce le cose e i nessi tra gli stati di cose. Le parole si riferiscono agli oggetti e le proposizioni collegano le cose. Dall'altro lato c'è l'uso scorretto del linguaggio che caratterizza la filosofia → uso che non si attiene a questa immagine, ma cerca di oltrepassarla → reificando i simbolismi logici. L'uguaglianza non è una cosa, ma un nesso tra le cose. Dobbiamo attenerci ai fatti! Se andiamo dietro ai concetti di bene e di bello creiamo dei non sensi e utilizziamo male il linguaggio.
Mistico è ciò di cui non si può parlare!
Parlando accade che mostriamo l'esistenza del linguaggio e del mondo. Ne posso parlare descrivendolo, ma non posso interrogarmi sul perché esiste il mondo poiché esco dai limiti del linguaggio. Importante che questa idea sia chiara per capire la conferenza sull'etica!
1) Cosa Hadot pensa del trattato: Questo sguardo a-filosofico di Wittgenstein è giudicato più genuino poiché ha senso non porsi problemi che non possono trovare una soluzione oggettiva → sguardo più genuino e puro sulle cose senza perdersi su problemi falsi e astratti. Non bisogna pensare alla rinuncia di Wittgenstein come a una sconfitta, ma come una conquista per riuscire a vivere più concretamente e quindi felicemente.
2) Il secondo aspetto preso in considerazione da Hadot è linguistico. Hadot era un prete che poi si è spretato. Hadot venne attratto dal fatto che Wittgenstein (filosofo del linguaggio) utilizzava il termine mistico per definire l'atto del parlare dell'uomo. Mistico corrisponderebbe a uno stato di estasi. Ciò che non si può dire secondo W sarebbe un'alterità → Il mistico si manifesta ogni volta che parliamo e non quando parliamo dei non sensi. Mistico è il linguaggio e insieme mondo, poiché mondo e linguaggio coincidono, poiché non c'è nulla che esista fuori dal linguaggio.
Questo mistico, secondo Hadot, ha una connotazione estatica → ciò che taccio è un aldilà del mondo del linguaggio → chi vede realtà di cui non si può parlare. C'è qualcosa che W definisce come inesprimibile e che viene da un aldilà del mondo.
Secondo Hadot per W esiste un mondo aldilà di ciò di cui ha senso parlare. Non ha senso parlarne, ma esiste qualcosa al di là. Il mistico rivela che il senso del mondo c'è, ma sta al di là delle mie possibilità → il linguaggio esprime l'esprimibile, ma mentre esprime lo stato di cose, allude a qualcosa d'altro; a una ragione a una causa...a un mistico.
E' Hadot che riconosce in W un'aspirazione religiosa (c'è un impulso di carattere religioso). Altri critici non credono che ci sia. Il primo saggio del libro è quello che affronta il tema del mistico.
Per mostrare ciò Hadot ricorre a due teologi (Plotino e ?) che parlano di teologia negativa (Uno / Dio non si possono nominare, né pensare, né concepire: se lo nomino lo rendo piccolo) → questa visione può spiegare quella di W riguardo al mistico. Occorre attenersi e comprendere ai limiti del linguaggio...povero per esprimere concetti superiori.
Altro modo a cui Hadot ricorre per spiegare il concetto di Mistico in W è parlare di J.P.Sartre (La Nausea: romanzo per eccellenza dell'angoscia di vivere, dell'esistenzialismo) → Perché esiste il mondo, anziché il nulla... Secondo Hadot ciò che ha provato W ha molto di simile a quanto descritto da Sartre nel suo testo sul senso di inadeguatezza nel pensare al mondo.
Non porsi il problema insensato del perché, arrivo alla serenità → in W. Hadot riconosce il porsi il problema del mondo arrivando a una terapia che dice di non porsi più i problemi sul mondo (problemi che si è sempre posta la filosofia) per arrivare alla serenità. Il W del prima del tractatus si pone il problema del mondo, ma con il Tractatus lo supera dicendo che occorre evitare di porsi problemi senza senso.
Questa guarita maniera di vedere il mondo, l'uomo non ha più bisogno di filosofia, non ha più bisogni. Quando viviamo veramente, nel sentimento e nella presenza, non abbiamo più bisogno di parole che si interrogano o provano a spiegare il mondo (Edith Veil).
Hadot intuisce, leggendo W, che nel mondo antico c'erano pratiche che davano senso alla filosofia e le chiama Esercizi Spirituali. Troveremo un esame degli esercizi degli stoici, dei cinici, degli epicurei e troveremo che questi esercizi sono esercizi pratici che permettono di convertire l'intera spiritualità della persona...non solo l'intelletto, ma la persona tutta.
Ricerche Filosofiche libro uscito postumo nel 1953 → W torna sui propri passi tornando a filosofare.
Il modo di fare filosofia è molto vicino a quello del trattato → le ricerche filosofiche dovrebbero guarire dalla malattia della filosofia. Anche questo libro è fatto di preposizioni con una numerazione diversa.
“La vera scoperta è quella di rendermi capace di filosofare quando voglio” → l'obiettivo è sempre quello di trovare pace nella ricerca metafisica. Non quello di continuare a filosofare, ma usare la filosofia per smettere di continuare a filosofare quando si vuole.
Mentre il Tractatus non era un libro della dottrina (lehrbuch), le Ricerche Filosofiche è un album di schizzi → non propone un sistema, ma applica diverse terapie alle malattie del linguaggio.
Ritorno all'uso quotidiano (parola importantissima) del linguaggio!!! Riportare le parole dal loro impiego metafisico al loro impiego quotidiano (diverso dire che bisogna eliminare tutta la filosofia). I filosofi s'illudono di poter trovare le dimensioni più profonde, ma ciò che possono in realtà fare è attenersi alla quotidianità poiché non c'è altro che conti e possiamo descriverlo con il linguaggio di tutti i giorni. Questo linguaggio quotidiano permette di capire la cosa più profonda cioè la quotidianità!
“Il nostro errore è cercare una spiegazione anziché vedere ogni fatto come un fenomeno originario”. Questo termine → fenomeno originario → inventato da Goethe alludendo all'essenza della natura, una sorta di causa originaria di tutto. W. Non lo considera così, ma intende che il fatto stesso è già lui originario. Riprende un termine metafisico per intendere provocatoriamente che il fatto inserito nella quotidianità è già la causa di se stesso. Distinzione Kantiana tra fenomeno e noumeno (il fatto stesso è un noumeno). W. Dice che la filosofia deve semplicemente descrivere il mondo → deve solo metterci tutto davanti. Filosofia non si deve interessare ad altro che non sia il mondo e descriverlo e questo deve fare anche con il linguaggio → non descriverlo, ma usarlo così com'è!
Nel Tractatus ciò che non si poteva oltrepassare è la logica. Nelle Ricerche Filosofiche ciò a cui attenersi è l'uso quotidiano dei termini → cosa vuol dire “uso quotidiano” dei termini?
W. dice che quando usiamo il linguaggio quotidiano, siamo dentro a Giochi Linguistici → parlare fa parte di un'attività o di un forma di vita! Non parliamo avulsi da un contesto, ma siamo dentro una forma di vita.
Gioco linguistico → parlare un linguaggio è sempre inserito in un contesto. Al di là di ciò che i logici hanno detto sul linguaggio, tutte le parole hanno un significato solo all'interno del contesto in cui sono utilizzate. Non hanno senso fuori da un determinato gioco linguistico. Non possiamo comprendere un discorso fuori dal contesto in cui quel discorso è stato scritto.
Non è più vero ciò che diceva il Tractatus cioè che ogni parola è specchio di una cosa, ma è vero che ogni parola ha significato in base al contesto in cui è usata e quindi ogni parola può avere più usi (forma di vita, significato, uso → sinonimi). “Il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio”.
Con le Ricerche Filosofiche W. prende le distanze da Agostino → non è vero che un bambino conosce la cosa e poi apprende la parola, ma noi apprendiamo le cose all'interno di giochi linguistici, quindi non esiste una conoscenza delle cose fuori dal linguaggio.
Hadot spiega il significato dei giochi linguistici rifacendosi sempre a una frase di JP Sartre (dio è morto). Se questa frase l'avesse detta un greco, la frase avrebbe avuto un significato. Se l'avesse detta un cristiano avrebbe avuto un altro significato ancora. Se l'avesse detta Nietsche, un altro...
In Sartre che significato ha? Chiaro richiamo a Nietsche, ma in Sartre assume altro tono → non l'annuncio del si alla vita di Zaratustra, ma solo una frase provocatoria nei confronti dei giornalisti che cercano da lui un'intervista. Questo ci fa capire come le stesse parole, in contesti diversi hanno significati diversi → in diversi Giochi Linguistici le parole assumono significati diversi.
Questo è il punto su cui si muoverà Hadot.
Problema dell'esperienza interiore → parlarne non è parlare di cose private → possiamo esprimere i nostri stati interiori? Non possiamo farlo se non ricorrendo a un linguaggio collettivo. Non c'è un linguaggio privato, ma solo collettivo. Non possiamo esprimere con le parole la nostra esperienza interiore; possiamo solo comunicare una cosa con il linguaggio già creato. Non c'è una parola che esprima una mia esperienza privata, così come non c'è una parola che esprima una cosa, ma solo una parola che esprima una cosa in un certo gioco linguistico.
Ci sono solo abitudini comportamentali linguistiche del dolore, della gioia, della paura, ecc. I bambini fanno proprie le espressioni per esprimere dolore, gioia, paura con le forme che ci sono state insegnate.
Non possiamo esprimere esattamente come stiamo, possiamo solo usare i modi che ci sono stati insegnati per esprimere al meglio qualcosa di simile. Il risultato nel cambiamento del rapporto con gli altri ha a che vedere con una privatezza che contraddistingue il nostro essere e da cui non possiamo uscire. “non solo se non voglio non ho bisogno di esprimere ciò che sento, ma se anche volessi esprimere il mio sentimento, potrei esprimere solo il mio segno linguistico e non il mio sentimento” (spettacolo!).
Il linguaggio non solo è povero per esprimere le cose, ma ancor più povero a esprimere gli stati d'animo → quando parlo costruisco significati all'interno di giochi linguistici → non posso fare altro...solo esprimermi all'interno di giochi linguistici. Le parole non hanno un significato in una cosa (oggetto, stato d'animo, ecc.), ma solo all'interno di giochi linguistici!
Le Ricerche Filosofiche hanno una conclusione simile al Tractatus : critica radicale al modo abituale di fare filosofia e all'idea che ci siano concetti che vadano aldilà dell'uso quotidiano del linguaggio. Schizofrenia del filosofo. Sforzo di W è di riportare tutto a una dimensione in cui tutto funziona con termini del linguaggio quotidiano, in cui tutto funziona in termini di giochi linguistici.
6/12/2011
Nella Ricerca → mantenere la filosofia, ma che si tenga lontana da qualsiasi discorso di carattere metafisico → diverso rispetto al W. Del Tractatus (tutta la filosofia e da abbandonare).
Critica fortissima alla possibilità di esprimere un'esperienza interiore → il bambino impara ad usare un segno linguistico → ricorriamo sempre a un linguaggio convenzionale. Il linguaggio non serve a esprimere pensieri (bello, bene e male, esperienze interiori) → le parole non sono legame con la realtà. Quanto esprimo (secondo noi) un sentimento, in realtà esprimo solo un segno, poiché l'interiorità è inesprimibile. Quindi non c'è nulla da spiegare → sono falsi problemi. I fatti così come ci vengono mostrati sono già “ur fenomen” questo è già il piano ultimo. Occorre attenersi alla quotidianità e usare il linguaggio così come è nella quotidianità. La filosofia che produce un linguaggio “filosofico” crea una schizofrenia per cui si vive una realtà diversa rispetto alla realtà vera. La terapia dovrebbe permettere a chi legge il libro di trovare una risposta nel fatto che chiedersi determinate cose, vuol dire porsi dei falsi problemi.
Hadot (libro) i primi due capitoli sono dedicati al tractauts e i secondi due alla ricerca → Hadot dice che la lettura della Ricerca di W è ciò che gli ha permesso di capire correttamente la filosofia antica.
Hadot scopre che la filosofia antica, come ogni pensiero, non può essere considerato al di fuori dei propri contesti → ogni filosofia nasce all'interno di un gioco linguistico, di una “forma di vita” (forma di vita è più generale e comprende i contesti (giochi linguistici)).
Nessuno può comprendere un pensiero filosofico se non calandolo nel proprio gioco linguistico o nella propria forma di vita. Questo legame con il contesto vale soprattutto per gli antichi → ci sfugge questo concetto se non caliamo la filosofia antica nel contesto pedagogico in cui si è prodotta. Nella filosofia antica, che nasce come pratica di vita, è ancor più difficile staccare il teorico dal contesto. Noi siamo più abituati a pensare la filosofia come valida indipendentemente dal contesto, filosofia più generale e universale. Nella filosofia antica tutto è calato nel contesto per diventare prassi pedagogica.
Ciò che rende problematico il lavoro dello storico della filosofia è che hanno cercato di dare sistematicità ai pensieri dei filosofi antichi scontrandosi con il fatto che un filosofo antico poteva dire una cosa un giorno e una cosa un altro giorno → non tengono conto della contestualizzazione dei discorsi fatti dallo stesso filosofo! Il fatto che nell'antichità il rapporto fra maestro e allievo fosse un rapporto Pedagogico, porta a ottenere dal maestro risposte diverse, poiché tiene conto di contesti, situazioni diverse → il discorso del maestro negli antichi era un discorso volto a “formare” e non solo informare gli animi → il filosofo antico non comunicava informazioni filosofiche, ma tendeva a formare degli animi → la filosofia nasce come rapporto dialogico e pedagogico!!!
Mai nessun uomo serio si arrischierà a scrivere discorsi seri” → ciò che arriva verbalmente è più importante rispetto a ciò che si scrive. Hadot dice che è inutile tentare di sistematizzare il pensiero degli antichi e non possiamo fare nulla se non mostrando gli elementi che permettano di capire il contesto in cui il pensiero è stato espresso.
Non posso trattare un testo di Platone come tratto un testo di Heidegger → la filosofia antica è legata a un contesto; è una maniera di vivere ed è composta da esercizi spirituali (per Foucault sono “tecnologie del sé”) → pratiche legate in modo stretto al modo di pensare.
Antichità → filosofia come rapporto pedagogico
Medio Evo → Boezio (da una lato rapporto con la pratica, ma anche commento dei testi antichi e quindi rapporto astratto e poi un rivolgersi ad un pubblico più vasto e un pubblico universale → il destinatario del commento filosofico è Chiunque, anche se rimane anche il rapporto diretto maestro e allievo)
Epoca moderna → il grande cambiamento nasce con la stampa e la diffusione della capacità di lettura. Sempre più quindi il destinatario del testo è universale. Nasce il problema della certezza → quando un filosofo moderno prende una posizione occorre che sia coerente nel tempo con la sua idea. Coerenza che si allenta tra ciò che uno pensa e ciò che uno fa, ma che deve essere mantenuta rispetto a ciò che uno pensa... La filosofia perde la sua caratteristica di indicare modifiche comportamentali. Il tema non è più quell'uomo in particolare, ma l'uomo in sé → la ricerca del filosofo diventa una ricerca volta a dire qualcosa che sia valido per tutti e possibilmente per sempre (W fu coerente poiché abbandono la filosofia in accordo con quanto disse sulla filosofia).
Sempre più ci si occupa di problemi astratti in filosofia → per uno storico di filosofia antica sarà dunque almeno importante capire che genere di testo sta leggendo (preghiera, dialogo, opera di logica, ecc.) poiché lo stile (il contesto) muta i significati. Non è un caso che la filosofia antica sia legata a uno stile, lo stile (la forma) determina un significato (la narrazione permette di trasmettere meglio di una digressione logica le sfumature del pensiero); la forma determina un modo diverso di capire le cose.
Il problema di Hadot è come riuscire a far si che la filosofia torni ad occuparsi sul come rendere migliore l'agire umano.
Conferenza sull'etica → dobbiamo affiancare ai nostri classici (Boezio, Agostino e Socrate) → W. Si rivolge a studenti (1929 → tra il W del trattato e il W delle ricerche filosofiche). E' un testo paradossale: W del trattato dice che dobbiamo attenerci solo ai fatti e non dovremmo parlare di ciò di cui non si può parlare … invece parla proprio su cosa è l'Etica. Ci dice su tutto ciò che chiamiamo etica una serie di cose: la ricerca di cosa ha valore, il significato della vita, ciò che rende la vita degna di essere vissuta, ecc. → abitualmente tutto ciò è il campo di azione dell'etica. Stiamo elencando tutte cose che hanno cose in comune e possono essere usate in due modi diversi:
Senso relativo: se dico “questa è una buona sedia” intendo che questa è una sedia ben costruita → senso relativo di un'espressione. Tutto ciò che è giudizio relativo si interessa ai fatti. Nel rapporto con il quotidiano ci atteniamo al piano dei fatti.
Senso assoluto: senso etico. L'etica si interessa dei sensi assoluti. L'etica non si interessa dei piani dei fatti → i fatti non sono buoni o cattivi in senso assoluto! Sono buoni o cattivi in senso relativo, legato al fatto contingente. Il piano “soprannaturale” è ciò di cui si occupa l'etica → supera il piano dei fatti.
(pag.11) → metafora della tazza → non è possibile far entrare un ettolitro in una tazza. Quando tento di esprimere con le parole qualità soprannaturali, vado oltre i limiti del mio linguaggio.
Siamo però tutti tentati di far rientrare il mondo dei fatti nel mondo delle espressioni in senso assoluto. Perché siamo tentati di dare un senso assoluto.
Ciò che W ammette è che quando cerca di dare un senso assoluto, vive una certa sensazione di due tipi...
meraviglia di fronte all'esistenza del mondo
sentimento di sicurezza, sensazione che nulla può scalfire la sicurezza
Se io faccio queste esperienze le faccio, ma non riesco ad esprimerle con le parole. Le parole sono povere per esprimere questi stati d'animo...
C'è un tipo di esperienza che ha un senso assoluto, ma quando la traduco con le parole, non riesco ad esprimerla.
Ci sono esperienze che posso solo vivere e non posso fare altro che viverle... Mentre parlo mostro la meraviglia dell'esistenza del mondo. Ma qualsiasi cosa io dica sul miracolo del mondo sarà un non senso e mi porterà a pormi problemi sbagliati.
Il problema non è trovare una parola più giusta dell'altra poiché non ci potranno mai essere parole adeguate per esprimere esperienze che sono indicibili … Perché sono felice oggi?
Ogni volta che parlo di etica, religione o altro “Mi avvento contro i limiti del linguaggio” →
Riconosco che ci siano esperienze
Riconosco che ci siano coloro che cerchino di dirle
Riconosco che sono disperati tentativi e vani
...per non essere disperati dovremmo limitarci ed attenerci a una dimensione linguistica sensata: cioè dovremmo evitare di porci problemi che non avendo risposta sono falsi problemi.
In un quaderno dell'8 luglio 1916 W scriveva → “se non mi pongo problemi etici, mi attengo a una situazione di armonia”. Questo spiega perché il tractatus ha una dimensione etica → evitando di parlare di etica, parlando correttamente, io vivo eticamente. L'etica l'ha messa al suo posto evitando di parlarne, lasciandola fuori dal suo linguaggio.
Rapporto maestro e allievo → statuto ambiguo della figura del maestro → in tutti i testi c'è la figura del maestro, ma anche una critica.
Socrate → lui stesso dice di non sapere nulla.
Agostino → il vero maestro è un maestro interiore.
Boezio → la maestra consolatrice è la filosofia che sta dentro di sé.
Wittgenstein → tutto ciò che vi dico vi dovrebbe far abbandonare la filosofia.
I maestri allora sono davvero importanti?! Hadot e Foucault → la filosofia serve a superare una visione individuale ed egoistica delle cose → scopo dell'esercizio spirituale e di abbandonare i falsi problemi, di padroneggiare il presente.
Hadot e Foucault ci hanno mostrato che anche oggi è possibile attingere alla filosofia per trasformarci. La scrittura (forma moderna di esercizio spirituale) è cosa che compiamo da soli, ma in realtà è qualcosa che ci aiuta a capire, capire per essere disposti a cambiare. La domanda che ci siamo posti se ci serve un maestro o se bastiamo a noi stessi, è sbagliata → può essere che noi si sia i maestri di qualcuno o che qualcuno lo sia per noi...probabilmente, se guardiamo alla trasmissione del sapere come a una questione complessa, a volte il maestro è l'io scrivente, a volte è qualcun altro che ci aiuta, a volte è un libro, ecc. L'importante è mettere sempre in discussione le proprie credenze, le proprie abitudini, ecc. → Dobbiamo eliminare la scissione tra gli altri e noi nel rapporto con la conoscenza → l'importante è mantenere la visione di sé in un cammino di discussione con se stesso → “siamo disposti a farci confutare” (Socrate) → Siamo disposti a farci confutare anche dai nostri allievi?! Possiamo/dobbiamo essere allievi anche quando insegniamo (Freire → rapporto dialogico tra educatore ed educando...). Il rapporto pedagogico deve essere sempre e comunque una disponibilità a mettersi in gioco...sempre.