lunedì 11 luglio 2011

Relazioni cooperative a scuola

Relazioni cooperative a scuola

Riflessione sulla teoria e sulla prassi della dimensione e del lavoro di gruppo nel contesto scolastico -> intende interpretare la complessità che lo contrassegna nelle direzioni indicate da un razionalismo critico.
Concezione della scuola al centro del discorso: istituzione intenzionalmente formativa, contesto sociale quasi naturale contrassegnato dalla condizione umana della temporalità, della storicità, della incessante ricerca di soluzioni e di certezze nella forma di teorie, metodi, strategie, tecniche, formule organizzative: risposte possibili che incessantemente lasciano emergere ulteriori elementi di problematicità. La scuola si propone come un sistema di contesti interattivi volti a favorire la co-costruzione delle intelligenze (sapere, saper fare…). E’ la scuola che costituisce a un tempo il contenitore, l’ambiente e il materiale in cui e con cui si tesse la vita nella scuola. E’ formativa la relazione con l’ambiente scolastico, l’idea che il bambino-lo studente si fa della propria capacità di potere e di sapere essere attivo, di potere e di sapere scoprire, mantenere e alterare le proprietà del suo ambiente, di sentirsi ben visto e quindi di ben vedersi.
Le relazioni intersoggettive e il contesto sono parte di ciò che succede nella scuola -> trasportano e distribuiscono energia nella forma di emozioni e cognizioni. Serve una grande cura per co-costruire un’armonia interna mai definitivamente acquisita.
L’ipotesi di fondo è che una scuola e in particolare un gruppo-classe intesi come una comunità di vita, debbano basarsi su istituzioni interne negoziate dai contraenti le relazioni educativo -> ossia su quelle regole e quell’assetto organizzativo che servono per realizzare un’idea di scuola condivisa da tutti gli attori impegnati sulla scena educativa.
La qualità della relazione tra bambini e insegnanti è la qualità della relazioni tra pari, è la qualità delle condizioni di contesto che l’insegnante e il team sanno mettere a punto per far sì che il bambino e la bambina accedano alle risorse utili per affrontare l’incertezza e le sfide del loro farsi grandi, per formare un senso stabile di sé, per imparare un uso efficace dell’autocontrollo e un modo efficace di comunicare.
L’idea-limite è quella di costruire una rete dinamica, un sistema sufficientemente stabile di relazioni, che possano essere sempre più efficaci (perché in grado di valorizzare le diversità) e armoniose (perché in grado di integrare le risorse), sapendo che i legami che si creano tra/sui banchi di scuola possono costituire un’occasione plurima di apprendimento, crescita, cambiamento, opportunità emotiva, riparazione, argine contro il rischio.

1. Il gruppo come soggetto-oggetto-metodo
Che cos’è un gruppo?
La parte fisica del gruppo è rappresentata dagli individui che lo compongono, mentre quella psicologica dalle rappresentazioni mentali e dalle concezioni dei suoi componenti, quindi non c’è gruppo se i suoi componenti non sentono di appartenervi.
Il gruppo è sia soggetto di azione e processo in quanto riconosciuto dai suoi membri, e sia fatto oggettivo in quanto prodotto dei loro investimenti emotivo- affettivi e cognitivi.
Può variare per numero, scopi, forma, contenuto, contesto economico, politico, socio-culturale.
Ha un grande potere emotivo.
Il gruppo è un campo dinamico, luogo di scontro-composizione di forze costruttive e creative e di forze aggressive e regressive.
Può rappresentare un campo per la costruzione d’identità, di conoscenze-abilità, ma può anche creare paura, terrore, sfiducia, ed quindi essere considerato e funzionare come una prigione psichica, come un campo di competizione, rivalità, invidia, dominio, ecc.
L’aggressività nel gruppo ha un ruolo molto importante. Se questa non viene contenuta può rovinare il suo funzionamento e il successo nel compito oppure può distruggere la vita stessa del gruppo. Se invece viene riconosciuta può diventare la forza vitale del gruppo.

Kruppa grop groppo
Il concetto di gruppo si è affermato molto lentamente nel mondo occidentale; fino alla prima metà del XX secolo i fenomeni del gruppo erano pressoché sconosciuti.
Il concetto di gruppo incontrava una vera e propria resistenza epistemologica, perché si collocava in una dimensione sistemica e non più individualistica e lineare.
Nonostante il termine gruppo venisse usato per la cura dei disturbi somatici e psichici, nelle lingue antiche non esistono termini specifici per indicare un insieme di persone impegnate a perseguire uno stesso scopo, attraverso rapporti di interdipendenza; quando si parlava di gruppo si utilizzavano metafore come l’ultima cena, il villaggio, la confraternita, la setta, ecc.
L’etimologia del termine ci rimanda ai concetti di NODO, RIUNIONE, ASSEMBLAGGIO. Il termine “groppo” veniva associato al provenzale GROP = NODO, che si pensa derivi dal germanico occidentale KRUPPA = MASSA ARROTONDATA. Quindi nel termine GRUPPO possiamo individuare due linee di forza:


Il significato di nodo, che rimanda allo stato di coesione e al campo delle forze che inducono i membri a restare uniti
Il significato di tondo che designa, anche a livello prossemico e simbolico, una riunione di persone, un gruppo di uguali che si incontrano faccia a faccia, come i cavalieri della tavola rotonda di tradizione celtica.

Il termine “GROPPO”, appare in Italia per la prima volta come termine tecnico delle belle arti per indicare numerosi elementi, dipinti o scolpiti, che rappresentano un tema. In Francia compare verso la metà del XVII secolo.
Significativa a questo proposito è una tela di Rembrandt Les syndics des drapiers del 1661-1662. Nell’opera compare per la prima volta un nuovo tipo di gruppo, i consigli di amministrazione; l’autore propone una rappresentazione dinamica, in cui il gruppo è tratto nel momento di piena discussione, ne sono rappresentati i movimenti, le tensioni, le turbolenze interne.
Solo verso la seconda metà del XVIII secolo il termine gruppo entra nel linguaggio corrente per indicare una riunione di persone. Nello stesso periodo i termini GRUPPE e GROUP compaiono rispettivamente nella lingua tedesca e nella lingua inglese.

Il gruppo come soggetto di azione-costruzione-trasformazione.
Un gruppo esiste come soggetto d’azione e come processo perché riconosciuto e istituito dai suoi componenti, non vi è quindi entità fisica e psicologica se il concetto di gruppo non è nella mente dei suoi componenti.
Il gruppo può essere considerato tale se tutti i partecipanti:
Ne condividono gli scopi
Percepiscono i progetti e i valori del gruppo come coerenti con i progetti e i valori personali
Se riconoscono oltre se stessi anche gli altri componenti e si comportano di conseguenza
Si impegnano nell’attività del gruppo creando rapporti di interdipendenza tra i membri.
Un gruppo può includere individui, sottogruppi e costituirsi come un’entità dinamica in rapporto con altri gruppi e con l’ambiente esterno inserendosi in un contesto economico, politico, socio-culturale che lo può sostenere ma anche minacciare.
Quindi possiamo dire che: il gruppo è un insieme di individui-soggetti-persone(e oggetti del contesto) che condivide uno scopo comune e che è caratterizzato da rapporti di interdipendenza tra i suoi membri.
Il lavoro di gruppo è costituito dall’insieme dei “movimenti”, delle azioni, dei processi e dei prodotti del gruppo. La condizione principale per un buon lavoro di gruppo è il riuscire a stabilire una relazione dinamica tra 3 categorie di variabili: scopo/occupazione, organizzazione, dinamica del gruppo. (figura 1)
SCOPO/OCCUPAZIONE
(lo scopo in cui il gruppo si riconosce e l’attività che dichiara di svolgere)

ORGANIZZAZIONE
(quanti? Quali? Quando e per quanto tempo? Dove? Come?)

DINAMICA
(attivazione, comunicazione, socializzazione, contenuti di gruppo)

LAVORO
(processi e prodotti)


















figura 1: il lavoro di gruppo:un processo a spirale aperta

Affinché il gruppo possa istituirsi come soggetto di azione-costruzione-trasformazione, è necessario che tra queste 3 variabili si stabilisca un rapporto di causalità dinamica in modo che la struttura del gruppo sia coerente con gli obiettivi che intende raggiungere.
Gli indicatori di un effettivo lavoro di gruppo sono:
Chiarezza-delimitazione-definizione dello scopo/occupazione.
È necessario che gli obiettivi che il gruppo intende raggiungere e le attività che dichiara di svolgere siano chiari, delimitati ed espliciti.
Nel cooperative teaching o insegnamento di gruppo, si chiede agli insegnanti di pianificare, condurre e valutare un determinato progetto sperimentale considerato significativo per la propria offerta formativa ma anche e soprattutto per i ragazzi a loro affidati.
Nel cooperative learning o apprendimento di gruppo, invece, è necessario che i singoli allievi ma anche tutto il gruppo abbiano degli obiettivi chiari e delimitati, comunicati non solo dall’insegnante ma definiti dai componenti del gruppo, in modo da avere una partecipazione attiva e il successo sia del gruppo che dei singoli allievi.
Un’organizzazione coerente con lo scopo da perseguire e con i compiti che il gruppo si assegna.
L’organizzazione riguarda la messa a punto di un ambiente che generi apprendimento e di strutture di gruppo coerenti con il compito. In questo caso è opportuno tener presenti alcune variabili, e cioè:
La dimensione del gruppo (quanti?), ossia il numero dei componenti (gruppo piccolo, medio, grande).
La selezione dei componenti (quali?), ossia gruppi eterogenei o misti con riferimento alle competenze sociocognitive, all’età, agli stili e alle strategie di apprendimento; gruppi omogenei o di livello. Qui la modalità di costruzione può essere casuale, libera o pilotata da chi conduce.
Le disposizioni generali (che cosa e come? Dove? Quando e per quanto tempo?) che riguardano i compiti e le consegne operative, cioè: cosa fare e come organizzarsi, la durata degli incontri, il clima relazionale, la focalizzazione sul compito, l’attivazione e la motivazione…
Una dinamica costruttiva e creativa.
La dinamica riguarda le azioni e i movimenti del gruppo, ossia riguarda i processi di socializzazione, comunicazione, attivazione, meccanismi, significati e il clima del gruppo.
La comunicazione è il fare concreto, è il discorso del gruppo.
La socializzazione è la conoscenza–assunzione di concezioni, atteggiamenti, ruoli per l’individuo e per il gruppo. Attraverso il gruppo e i gruppi, ognuno scopre, costruisce e cerca di completare la propria identità, e per fare ciò condivide la cultura del gruppo e ne accetta i principi sociali e morali.
La comunicazione nel gruppo può attivare determinati comportamenti e meccanismi, come:
Accoppiamento: è un modo di comunicazione che riduce i movimenti e la vitalità del gruppo. L’accoppiamento si ha quando 2 componenti del gruppo parlano tra di loro e il resto del gruppo sta ad ascoltare in modo passivo. In questa situazione sarebbe meglio allargare il discorso chiedendo anche il punto di vista degli altri; se non si ha il tempo di fare ciò, è meglio chiudere l’incontro rimandando così la discussione e la possibilità di ascoltare gli altri al prossimo incontro.
Polarizzazione: è un modo di comunicazione che tende a dividere in 2 parti il gruppo, in quanto 2 leader interni si contrappongono tra loro. In questo caso sarebbe meglio chiarire ciò che sta succedendo ed evitare così contrapposizioni e conflitti.
Silenzio: è un modo di comunicazione che può avere diversi significati: ostilità nei confronti del leader e degli altri componenti del gruppo, sentimento di disagio, senso di inadeguatezza, noia, ecc., ma può anche corrispondere a momenti di elaborazione-riflessione di contenuti. È importante lasciare tempo anche ai silenzi.
Meccanismi: riguardano alcune emergenze che caratterizzano i movimenti interni ai singoli nel gruppo. Con il termine transfert si intende l’emergenza spontanea nei confronti di una persona nella situazione “qui e ora”, trasferiti da una precedente figura e situazione. Con il termine scissione si indica la differenziazione di sentimenti nelle loro parti componenti. Con il termine proiezione si intende quel processo intrapsichico per cui il soggetto espelle da sé e localizza nell’altro delle qualità, dei sentimenti, dei desideri, che egli non riconosce e rifiuta in sé. Con il termine contenuti di gruppo si intendono le idee, i sentimenti, gli atteggiamenti che emergono dai processi di gruppo.
La congruenza e casualità dinamica fra le categorie di variabili inerenti scopo/compito, organizzazione, dinamica del gruppo.
Perché ci sia lavoro, cioè prodotti, processi e feedback costruttivi, è necessario che ci sia congruenza tra l’obiettivo e il compito che il gruppo ha e l’organizzazione interna.
SE UN GRUPPO ESPRIME UN’INTENZIONALITà RIVOLTA VERSO UNO SCOPO/OCCUPAZIONE CHIARO E CONDIVISO, SE REALIZZA TALE SCOPO/OCCUPAZIONE ATTRAVERSO RAPPORTI DI INTERDIPENDENZA, SE RICONOSCE LA DIVERSITà COME RISORSA, ALLORA SI HA LAVORO DI GRUPPO E IL GRUPPO (E GLI INDIVIDUI CHE LO COMPONGONO) PUò FUNZIONARE COME SOGGETTO DI COSTRUZIONE E DI TRASFORMAZIONE DELLE CONOSCENZE E DELL’IDENTITà (INDIVIDUALE E DI GRUPPO) SUL PIANO COGNITIVO-AFFETTIVO, EMOTIVO, SOCIALE.

Il gruppo come oggetto di studio e di ricerca.
Un gruppo esiste, come oggetto e fatto oggettivo, soltanto se i soggetti che lo formano lo riconoscono come prodotto delle percezioni soggettive, delle proiezioni creative dei suoi membri, e come risultato delle loro riflessioni, e questo perché non può esistere un gruppo se i suoi componenti non sentono di appartenervi.
Il gruppo può così diventare oggetto di studio e di ricerca-applicazione in differenti ambiti disciplinari interessati a evidenziare ben precisi aspetti e caratteristiche del gruppo e a darne una definizione coerente. La natura dell’oggetto non cambia, è piuttosto una questione di vertice, di prospettiva, di punto di vista -> ci troviamo di fronte a una pluralità di discorsi parziali ognuno fatto a partire da una differente vertice disciplinare.
Le definizioni di ordine sociologico -> Danno importanza al punto di vista OGGETTIVO: IL GRUPPO è UN INSIEME DI DUE O PIù INDIVIDUI CHE HANNO LO STESSO SCOPO INDIVIDUALE DA RAGGIUNGERE. I sociologi centrano l’attenzione sullo scopo, sul compito che gli individui del gruppo si danno, sull’oggettività di questo compito, sulla compresenza fisica dei singoli e dei sottogruppi.
Le definizioni di ordine antropologico -> Danno importanza al fatto che l’individuo è sia fruitore che agente di cultura: il gruppo è un insieme di individui che si riconoscono in determinati valori, miti, tradizioni, cerimonie, ritualità, sistemi di segni. Gli antropologi centrano l’attenzione sulla cultura e sul processo di inculturazione che fa sì che ogni individuo partecipi a un processo continuo di apprendimento e di adattamento agli elementi della cultura.
Le definizioni di ordine psicologico -> Danno importanza al punto di vista intersoggetivo: il gruppo è un insieme di tre o più individui che si riconoscono come gruppo e hanno tra di loro delle relazioni di influenzamento reciproco. Gli psicologi centrano l’attenzione sulla comunicazione, sulla dinamica, sul sentimento di appartenenza.
Le definizioni di ordine gruppoanalitico -> Danno importanza al punto di vista inter e intrsoggettivo: il gruppo è un insieme di tre o più individui che comunicano inter-reagendo fra loro secondo una comune matrice interpersonale, secondo un sentire e un pensare progressivamente condiviso che diventa patrimonio del gruppo.
Le definizioni di ordine pedagogico -> Danno importanza al punto di vista educativo: un gruppo è un insieme di soggetti-persone che condividono contesti e relazioni intese a riconoscere e a promuovere le potenzialità individuali nelle differenti età della vita.
Le definizioni di ordine didattico -> Danno importanza al punto di vista formativo: il gruppo è un insieme di due o più soggetti-persona che realizzano rapporti di interdipendenza e coordinano le loro azioni e comunicazioni in specifici contesti al fine di perseguire l’apprendimento e la co-costruzione di identità, intelligenze e significati.

Il gruppo come metodo d’insegnamento/apprendimento
Il metodo fa parte del contesto e viceversa. In riferimento al gruppo, è possibile fare 2 considerazioni:
lavorando in gruppo si impara a lavorare in gruppo, cioè si imparano teorie, metodi e tecniche di conduzione e di comportamento;
il gruppo di lavoro rappresenta il contesto che permette la co-costruzione di conoscenze, abilità, comprensione sia del compito su cui il gruppo si impegna sia dello sviluppo delle relazioni e delle dinamiche.

Le scuole attive e l’eredità di Dewey
Il punto di vista di Dewey ha avuto ripercussioni nella teoria e nella pratica educativa. Uno dei concetti principali del suo pensiero è quello della scuola come un AMBIENTE SPECIALE, un vero e proprio laboratorio per imparare in un clima collaborativo nel quale si ritrova e si sperimenta l’essenza della democrazia.
Nell’aula-madre tutto è fatto per ascoltare, nel laboratorio invece per agire e interagire; l’aula-madre è un contesto d’ascolto, il laboratorio è un contesto d’azione poiché richiede diversi atteggiamenti e una disposizione mentale partecipativa e riflessiva. Si richiede all’allievo un impegno attivo nel fare, sperimentare, osservare le conseguenze dell’azione; tutto questo aiuta a formare attitudini, interessi, pensiero riflessivo, tratti del carattere, stili cognitivi. Il laboratorio poi lascia spazio al dubbio, alla soluzione di problemi, all’incontro-scontro tra idee diverse in un clima democratico.
Nel saggio Il mio credo pedagogico e Scuola e società, che rappresentano il manifesto della scuola attiva, Dewey sottolinea l’importanza di vivere nella scuola l’esperienza della democrazia e del processo di cooperazione.
Nel saggio Il mio credo pedagogico l’autore afferma che la scuola è soprattutto un’istituzione sociale; per questo motivo l’educazione deve essere considerata un processo di vita in cui il soggetto entra in rapporto con gli altri. L’insegnante è qui un adulto esperto e un membro della comunità, che stimola e assiste l’allievo.
Dewey sposta l’attenzione dall’adulto all’allievo come soggetto che cresce.
In Europa furono molte le teorie e le applicazioni con lo scopo di realizzare una scuola attiva e comunitaria.
Nei paesi di lingua tedesca, vanno ricordati GAULIG, il quale influenzò molto lo sviluppo della scuola attiva in questi paesi, e il suo collaboratore SCHEIBNER.
Questi due educatori focalizzarono la loro attenzione sull’influenza del lavoro di gruppo sul piano cognitivo, e basarono la loro osservazione sui modi di apprendere dei singoli al fine della costruzione dei gruppi, della divisione dei compiti e del coordinamento del lavoro del gruppo.
Secondo Gaulig un insegnante in una osservazione sistematica è in grado di raggruppare i propri alunni in base alle loro mentalità. Il suo metodo consiste nella divisione del lavoro e nel coordinamento e collaborazione di tutta la classe. Per lui è inoltre molto importante dare spazio alla creazione di situazioni di insegnamento/apprendimento che sviluppino negli alunni comportamenti attivi sul piano cognitivo come domande anziché interrogazioni, lettura e interpretazione delle fonti, ecc.
Scheibner nonostante condivida le teorie del maestro, pone l’attenzione sulle potenzialità implicite nella divisione del lavoro; quindi dalla materia insegnata sposta l’attenzione all’allievo, per favorirne il suo sviluppo, “aiutandolo ad aiutarsi”.
Il suo metodo prevede la divisione in parti dell’argomento da trattare, e la preparazione è affidata agli allievi, che lavorano in modo individuale, e solo successivamente si avrà una discussione con l’intera classe.

La teoria di campo e il metodo di Lewin
La teoria dinamica di Lewin considera il gruppo come un soggetto di trasformazione, in grado di esercitare una funzione adattiva, riflessiva e correttiva sui sistemi interno cognitivo-emotivi e sull’ambiente.
Lewin introduce in psicologia il concetto di CAMPO, considerato come “la totalità dei fattori coesistenti considerati come interdipendenti”, e lo applica prima allo studio delle azioni individuali e poi a quello dei gruppi.
Secondo la TEORIA DI CAMPO, il gruppo è qualcosa di diverso dalla semplice somma dei suoi membri. È un insieme la cui principale caratteristica è quella di riconoscere uno scopo comune, di istituire rapporti di interdipendenza tra i suoi membri, di instaurare relazioni con gli altri gruppi e con l’ambiente.
Secondo Lewin la situazione di una persona o di un gruppo dipende dallo “spazio di vita”, cioè dalla totalità degli eventi possibili nella situazione presente per quella persona o per quel gruppo, e dall’ambiente.
La teoria di Lewin considera il gruppo e l’organizzazione come un CAMPO UNITARIO DINAMICO, dove l’azione del gruppo esprime un’intenzionalità rivolta verso uno scopo in base ad un progetto comune. IL GRUPPO è QUINDI UNA TOTALITà DINAMICA, nel senso che un cambiamento di stato di una parte interessa lo stato di tutte le altre. Inoltre secondo l’autore l’educazione non può cambiare la società, ma che una struttura sociale democratica sia la condizione fondamentale per una vera educazione.
Dal 1938 Lewin e i suoi collaboratori si interessano all’estensione della nozione di campo dinamico ai piccoli gruppi. Grazie ai dati raccolti riuscirono a controllare l’influenza dell’atmosfera generale e del tipo di conduzione sulla produttività e sul comportamento degli individui nei gruppi. Furono calcolati i tassi di aggressività per ogni seduta e la media dell’aggressività nei vari climi.
Si osservò che il clima autoritario, molto frustante, causava 2 tipi di reazioni distruttive del lavoro di gruppo : un’apatia diffusa oppure esplosioni di rabbia collettiva fino alla verifica del fenomeno del capro espiatorio.
Nel clima democratico, l’aggressività era più contenuta e favoriva comportamenti di cooperazione tra i membri del gruppo e un’elevata produttività.
Nel clima permissivo o lassista si ha il tasso più elevato di aggressività in quanto l’assenza di un aiuto da parte dell’insegnante o del conduttore del gruppo crea sentimenti di fallimento e abbandono.

La teoria psicoanalitica e il contributo di metodo nella definizione del setting educativo
La teoria psicoanalitica ci offre strumenti per analizzare e interpretare le dinamiche del gruppo ed offre un metodo, quello del setting educativo che permette al gruppo di assumersi le responsabilità del proprio lavoro.
Il setting psicoanalitico ci permette di osservare e analizzare i fenomeni psichici sia per il paziente che per il terapeuta.
I presupposti principali del setting psicoanalitico riguardano:
il patto o contratto terapeutico, cioè tutto ciò che l’analista ha comunicato al paziente prima di iniziare il lavoro terapeutico.
l’assetto organizzativo ossia il luogo, i principali momenti della prassi analitica sono:
gli appuntamenti, che indicano la necessità dell’incontro in uno spazio e un tempo definito, per questo motivo è importante che l’incontro avvenga sempre nella stessa stanza, nello stesso orario e con la stessa cadenza settimanale
il contratto economico, che ci dice che anche l’analista ha dei bisogni e che non è onnipotente
la neutralità, cioè la prassi dell’osservazione discreta e la sospensione di ogni giudizio morale
l’astensione, cioè il divieto di azioni di contatto fisico sia all’interno che all’esterno della seduta
la regola principale è che si può dire tutto ciò che passa per la mente.

Freinet tra movimento di cooperazione educativa e pedagogia istituzionale
Negli anni a cavallo tra le due guerre, la pedagogia attiva si basa sulle analisi di Dewey e sulle ricerche di Piaget per portare un cambiamento nella pratica scolastica. Si passa così dalla scuola-caserma ad una scuola aperta al suo interno e sul fuori-scuola, in cui l’allievo diventa soggetto e primo attore del suo percorso e sviluppo socio-cognitivo.
Le applicazioni più importanti della pedagogia attiva si devono al movimento di cooperazione educativa di Freinet in Francia e in Italia si devono ai contributi di Ciari, Lodi, Don Milani, Malaguzzi.
Freinet propone un progetto di scuola attiva in cui affida alla didattica il compito di regolare gli scambi pedagogici e di creare un ambiente e un clima leggibile sia dagli adulti che dagli allievi. La didattica deve quindi creare le condizioni per un apprendimento attivo e collaborativi, che sia attento al prodotto e agli aspetti organizzativi ma anche al processo.
Oltre all’allievo e ai piccoli gruppi di lavoro, molto importante è il gruppo-classe, la cooperazione come istituzione.
I principi pedagogici elaborati da Freinet sono:
un’organizzazione cooperativa del gruppo-classe e la dinamica istituito-istituente. L’organizzazione cooperativa richiede sia un’assunzione attiva di compiti e responsabilità ma anche interdipendenza di scopo, di ruolo, di abilità manuali, di fantasia, ecc. per creare queste condizioni è necessario proporre attività diverse e coinvolgenti, e una leadership distribuita e un potere di parola distribuito, in modo che ognuno possa raggiungere il successo in qualche ambito. In una organizzazione cooperativa è necessario poi distinguere l’istituito ossia qualcosa di già dato dall’esterno, dall’istituente ossia qualcosa che si può creare o modificare. In gruppo-classe inoltre entra in gioco anche la dinamica tra bisogni e risposte. Per gestire il rapporta tra bisogni e risposte è opportuno l’organizzazione del consiglio. Il consiglio è una riunione del gruppo-classe con gli insegnanti, in cui si parla e si ascolta, si danno informazioni, si prendono decisioni, si discute dei problemi del gruppo e dei singoli individui. Nel consiglio ognuno può dire ciò che vuole, e le decisioni prese vanno rispettate fino a quando non vengono modificate da consigli successivi, inoltre ciò che viene detto non può uscire dal gruppo-classe.
le tecniche: il testo libero, il giornalino scolastico e la corrispondenza interscolastica. Rappresentano delle scelte didattiche in modo che i singoli allievi e il gruppo-classe partecipino in modo attivo. Il loro scopo è quello di facilitare la costruzione collaborativi di conoscenze e abilità, di rafforzare il senso di appartenenza e socialità. La proposta del testo libero trasforma completamente la concezione dell’allievo e delle ragioni del suo stare a scuola: infatti attraverso il testo libero un allievo può provare piacere nel comunicare qualcosa di sé ai compagni.
la circolarità ascolto/parola/ascolto nella dinamica insegnante/gruppo-classe. Secondo l’autore, sono molto importanti momenti di esperienza comune tra gli allievi in cui l’insegnante è solo un regolatore e un testimone.
la documentazione e il rapporto tra attività e documentazione. La documentazione è già dall’inizio la parte costitutiva del progetto di lavoro, è importante per la formazione degli insegnanti ma anche per la scuola, i genitori e i bambini.

L’approccio interattivo-costruttivista e il cooperative learning
Gli orientamenti interattivo-costruttivisti, culturalisti e contestualisti ci aiutano a capire i conflitti socio-cognitivi e i feedback costruttivi, e mettono a confronto processi di pensiero, modalità di verifica, apprendimento per scoperta e per co-costruzione, ecc.
Gli autori a cui si fa riferimento sono Piaget, la scuola di Ginevra, la scuola storico-culturale di Vygotskij e l’approccio culturalista e contestualista di Bruner.
PIAGET nel primo periodo della sua ricerca dà grande importanza, per lo sviluppo morale e cognitivo, alla discussione e al confronto tra coetanei. -> I ricercatori della tradizione piagetiana mostrano l’importanza dei feedback costruttivi e della negoziazione in situazioni di conflitto socio-cognitivo tra i pari. Nel gruppo dei pari il conflitto socio-cognitivo è dato dalla contrapposizione tra il proprio punto di vista e quello degli altri, questa percezione porta a un feedback sulle proprie concezioni e porta all’apertura verso gli altri.
VYGOTSKIJ afferma che gli esperimenti di Piaget gli hanno mostrato il legame tra discussione e ragionamento dei bambini, tra discussione e processi di pensiero -> I ricercatori della tradizione vygotskijana danno importanza ai diversi processi di pensiero e modi di partecipare e argomentare, alla progettazione di strategie, ecc.
I ricercatori di impostazione clinica considerano l’interazione tra i pari un importante luogo di co-costruzione di idee, conoscenze, apprendimento per scoperta, in un clima di reciproco sforzo collaborativi.
I contributi di tutte queste scuole non devono essere però considerati in contrapposizione tra di loro, ma piuttosto devono essere complementari.
L’approccio culturalista e contestualista di BRUNER fa riferimento alla tesi neo-vygotskijana secondo cui la cultura calma la mente e ci fornisce quegli attrezzi attraverso cui costruiamo il nostro mondo ma anche la nostra concezione di noi stessi e delle nostre capacità. Questo approccio è interessato a capire come gli individui costruiscono la realtà soggettiva e i significati con cui comprendere il mondo. La fiducia in se stessi, la capacità di aiutarsi reciprocamente nell’apprendimento si sviluppano grazie ad una partecipazione attiva all’interno dei gruppi di lavoro. L’approccio costruttivista, culturalista e contestualista utilizzano in campo didattico e pedagogico metodologie di insegnamento/apprendimento basate sul cooperative learning.
Il cooperative learning oltre che un metodo di conduzione della classe è soprattutto un movimento educativo diffuso negli Stati Uniti, in Olanda, in Inghilterra, in Canada e anche in Italia.
Nasce negli Stati Uniti negli anni ’30 e ’40, quando la grande crisi economica colpì il paese provocando reazioni come l’adozione nelle scuole di modelli di insegnamento/apprendimento competitivi e individualistici. Le sue radici teoriche sono Dewey, Lewin, Lippitt, White, Deutsh, ma anche l’approccio neo-vygotskijano e l’approccio culturalista.
Il cooperative learning è stato definito come:
un insieme di tecniche di classe dove gli studenti lavorano in piccoli gruppi per attività di apprendimento, sono responsabili del loro apprendimento e ricevono valutazione in base ai risultati ottenuti;
un metodo di apprendimento-insegnamento dove la cosa più importante è la cooperazione tra gli studenti, i quali si aiutano a vicenda, sono corresponsabili, stabiliscono il ritmo del lavoro, si correggono e si valutano.
Il cooperative learning è un metodo di insegnamento-apprendimento a mediazione sociale, che prevede l’acquisizione, da parte degli studenti, di competenze sociali e cognitive in un clima democratico e partecipativo. I gruppi di lavoro devono essere formati da 4-5 persone, devono essere eterogenei e basati sull’interdipendenza positiva di ruoli, compiti, materiali, problem solving.
All’insegnante viene chiesto di rappresentarsi il gruppo-classe come un contesto in cui i partecipanti rappresentano un’entità sociale dinamica; l’insegnante deve inoltre avere competenze disciplinari e didattiche quali programmazione e organizzazione del percorso formativo, l’insegnamento delle competenze sociali, il monitoraggio, la revisione dell’attività di apprendimento.
Il cooperative learning si è sviluppato in diverse correnti, ognuna delle quali dà un peso diverso alle variabili che costituiscono la struttura del gruppo:
l’interdipendenza positiva -> è un modo di relazione che si crea tra i componenti del gruppo quando ognuno percepisce di essere legato agli altri e che il proprio successo determina il successo di tutti. Offre l’opportunità di ricevere aiuto dagli altri e di manifestare le proprie opinioni senza paura di essere criticati, inoltre la consapevolezza di poter contare su tutti ricuce l’ansia da prestazione, lo stress e la fatica. Le principali strategie organizzative utilizzate sono:
assegnazione/condivisione di obiettivi comuni (interdipendenza di obiettivi)
suddivisione dei materiali e/o del lavoro da svolgere (interdipendenza di compito)
assegnazione di ruoli diversi ai singoli allievi (interdipendenza di ruolo)
attribuzione di ricompense di gruppo per il lavoro prodotto (interdipendenza di premio)
è poi necessario che l’argomento da trattare o il problema da risolvere rappresenti per gli allievi una sfida cognitiva complessa.
L’interdipendenza può avere diverse forme e può strutturarsi in modo forte o debole. Si struttura in modo forte attraverso strutture di gruppo come l’intervista a tre passi, il roundtable, la tecnica del Jigsaw, uno a casa e tre in viaggio, che sono strutture di gruppo in cui il compito viene diviso tra i componenti in parti uguali per quanto riguarda l’impegno richiesto, e in parti diverse per quanto riguarda il contenuto e/o le difficoltà, e in cui ogni gruppo ha la responsabilità di apprendere e insegnare agli altri la propria parte. Si struttura in modo debole attraverso strategie come l’assegnazione di un lavoro da svolgersi a livello di gruppo e l’assegnazione di un bonus se tutti gli studenti del gruppo raggiungono livelli standard in test individuali.
L’approccio del cooperative learning basato sull’interdipendenza positiva si contrappone sia all’approccio individualista che a quello competitivo.

La responsabilità individuale e di gruppo e il monitoraggio dell’insegnante L’apprendimento cooperativo per essere efficace si deve basare sulla costruzione progressiva di un senso di responsabilità individuale e di gruppo.: elevate aspettative individuali sono fondamentali per il raggiungimento del risultato di gruppo e viceversa. Il cooperative learning ha come punto principale l’assunzione della responsabilità individuale e affida al gruppo una funzione di mediazione sociale e di aiuto per il singolo individuo. Ad ogni componente viene infatti chiesto di:
concludere il proprio lavoro
facilitare il lavoro degli altri
sostenere i loro sforzi.
L’insegnante può svolgere la funzione di facilitazione e di monitoraggio attraverso:
interventi verbali per aiutare gli allievi a riconoscere e a valorizzare le loro responsabilità individuali
l’assegnazione di ruoli che restano durante la fase del lavoro ma che poi devono ruotare
l’organizzazione di gruppi a interdipendenza forte
l’attribuzione di spazio e tempo al momento della revisione finale.

L’interazione promozionale faccia a faccia -> In un gruppo che mira ad un obiettivo comune attraverso rapporti di interdipendenza positiva è importante che si crei un clima di rispetto, stima reciproca, sostegno e incoraggiamento. L’interazione promozionale faccia a faccia è un modo per sentire e vedere l’insegnamento/apprendimento e l’ambiente scolastico caratterizzato da cooperazione, rispetto, libertà di espressione, e da rapporti sinceri tra studenti e insegnanti e tra i compagni stessi. L’insegnante deve poi promuovere l’apprendimento sia sul piano cognitivo (chiarezza nella definizione degli obiettivi, selezione dei materiali, ecc.), sia sul piano della strutturazione del contesto comunicativo (sapendo che la comunicazione non verbale incide molto nelle relazioni di emarginazione e rifiuto degli alunni) e della padronanza di competenze sociali (parlare a bassa voce, rispettare il turno di parola, ecc.) e di comportamenti prosociali (adottare comportamenti di incoraggiamento, sostegno reciproco, ecc.). Per quanto riguarda il contesto comunicativo, l’insegnante deve organizzare l’ambiente fisico affinché tutti gli studenti si trovino faccia a faccia, possano consultare insieme i materiali e muoversi senza disturbare i compagni, e affinché l’insegnante stesso possa muoversi facilmente per intervenire nei gruppi e osservare l’attività. È inoltre importante fare attenzione alla composizione dei gruppi, sia dal punto di vista del numero che della selezione dei componenti, privilegiando l’eterogeneità piuttosto che le abilità cognitive e sociali.

L’insegnamento diretto delle competenze sociali -> Una delle condizioni fondamentali per un buon lavoro di gruppo e per una cooperazione efficace e produttiva è l’insegnamento diretto delle competenze sociali. Per COMPETENZE SOCIALI si intende quell’insieme di abilità che permettono di avviare, sostenere e gestire un’interazione in coppia o in gruppo. Secondo i fratelli Johnson, 4 sono i principali livelli di abilità cooperative:
abilità necessarie alla gestione di un gruppo cooperativo
abilità necessarie al funzionamento, ossia allo svolgimento del compito e allo sviluppo della comunicazione tra i componenti del gruppo
abilità necessarie all’apprendimento
abilità necessarie per stimolare la ricerca di altre informazioni, l’esposizione delle conclusioni del lavoro, ecc.
è quindi necessario prima di tutto che gli studenti abbiano la possibilità di imparare nei gruppi cooperativi e poi un motivo e i mezzi per farlo.
Un buon modo per iniziare è quello di partire da:
abilità per lavorare insieme
abilità che favoriscono la realizzazione del compito e il mantenimento di rapporti di lavoro efficienti
abilità di studio
abilità di stimolo all’approfondimento e alla riflessione.

La verifica e la valutazione individuale e di gruppo e la revisione del lavoro svolto -> La verifica e la valutazione individuale e di gruppo sono fondamentali nel cooperative learning. La VERIFICA è la raccolta, costante e sistematica, dei dati necessari per formulare un giudizio, la VALUTAZIONE invece è una formulazione di un giudizio di valore sulla base dei dati disponibili. Per migliorare la qualità del lavoro è necessario sottoporre a una verifica continua sia i processi che i risultati di apprendimento. Per la verifica e la valutazione è poi necessario utilizzare un sistema basato su criteri oggettivi chiariti già prima dell’inizio dell’attività, ma anche coinvolgere direttamente gli studenti nella verifica del livello di apprendimento sia proprio che dei compagni. Nel caso in cui vengano somministrati test di verifica per verificare il livello di apprendimento di ogni studente è opportuno che:
i gruppi si attivino prima del test per prepararsi insieme
ogni studente sostenga il test in modo individuale ma faccia due copie delle risposte, una per l’insegnante e l’altra per la discussione di gruppo
gli studenti ripetano o discutano il test nei loro gruppi di apprendimento.
Il processo di revisione del lavoro svolto permette poi agli allievi di:
riflettere a voce alta per comunicare sui punti deboli e di forza del lavoro svolto, sul contributo personale, sugli errori commessi nel lavoro di gruppo
prendere decisioni sulle azioni da cambiare o da confermare.

Professionalità e training formative di gruppo
Un gruppo in ambito formativo e didattico è un fenomeno complesso e problematico, che richiede a chi lo conduce ma anche a che vi partecipa delle determinate competenze.
Il profilo professionale di un insegnante, di un educatore sociale, di chi esercita professioni per il sociale, richiede un training formativo di gruppo. Il gruppo pedagogico e didattico ha come obiettivo principale quello di promuovere un arricchimento sul piano cognitivo, relazionale, a livello individuale, di gruppo e organizzativo.

Sapere, saper fare, essere, riflettere e immaginare
Se si considera la scuola come un sistema dinamico aperto all’interno e all’esterno, allora la formazione delle competenze professionali deve riguardare sia le competenze disciplinari sia quelle trasversali e deve essere in grado di incidere sia sul fare scuola e sia sul saper essere e interagire nella scuola e sulla scuola.
Un training formativo di gruppo ha come obiettivi principali:
delineare un sistema di ipotesi, un progetto e un coerente assetto organizzativo, come base dell’intervento educativo e formativo. Un insegnante deve essere in grado di adottare un approccio sistemico e riflessivo ai problemi individuali, di gruppo, dell’organizzazione, del contesto sociale, economico-politico e storico-culturale. Un’azione che vuole essere orientata al cambiamento deve essere fondata teoricamente e finalizzata strategicamente. Deve riconoscere i processi di trasformazione che coinvolgono i sistemi di valore e di relazione; deve tenere conto delle varie condizioni relazionali, della rivoluzione tecnologica, ecc. Quaglino afferma che “non c’è nulla di più pratico di una buona teoria”. Infatti per attivare la relazione teoria-prassi-teoria, che sta alla base del cambiamento individuale e organizzativo, occorrono buone teorie, l’apprendistato all’auto-osservazione, al pensiero riflessivo.
Formare la competenza e la responsabilità pedagogica di progettare percorsi formativi. Questo significa che bisogna saper progettare e operare in vista della costruzione dell’identità individuale conoscendo le caratteristiche, le potenzialità cognitivo-emotive dei soggetti, le risorse del gruppo, del contesto formativo e del contesto socio-culturale di riferimento. Da un punto di vista operativo significa conoscere e sperimentare:
Finalità, assetto organizzativo, metodologie del lavoro di gruppo in diversi contesti formativi
Le caratteristiche e la vita quotidiana del soggetti
Metodologie e tecniche di attivazione e di lavoro di gruppo
La riflessione sui comportamenti osservati e su quelli adottati.
formare la competenza e la responsabilità pedagogica di organizzare e gestire percorsi educativi basati sulla progettualità intenzionale e sistematica. Questo significa:
saper delimitare il campo dell’intervento educativo o formativo
saper fare riferimento a un apparato teorico, un setting mentale, uno spazio/tempo/modo pensato per declinare un progetto che coinvolge il soggetto e il gruppo come risorsa e valore
saper adottare modelli procedurali coerenti con il sistema di ipotesi e con il progetto tracciato
disporre di un corredo di tecniche, cioè di metodi che sanno adattare ai progetti, ai gruppi, ai contesti
saper analizzare e valutare un caso come il risultato di un processo dinamico in corso
adottare un approccio problematico e critico alla realtà
saper instaurare una relazione educativa autorevole, coerente, capace del giusto distanziamento emotivo.

Le competenze relazionali del team docente
In una scuola concepita come sistema aperto e dinamico, sono di fondamentale importanza le competenze che riguardano la comunicazione e la relazione che devono collegarsi alle competenze disciplinari, psico-pedagogiche che riguardano la mediazione metodologica e didattica, l’organizzazione, la ricerca e lo sviluppo.
La capacità di comunicazione: è la capacità di adottare uno stile democratico e collaborativi, di fare interventi che facilitano lo sviluppo e lo svolgimento del compito e delle dinamiche intersoggettive
La capacità di ascolto attivo e di distanziamento emotivo: è la capacità di riconoscere e analizzare le dinamiche di transfert e controtransfert. La capacità di distanziamento emotivo si riferisce alla capacità di sapersi avvicinare al bambino/a, e il sapersi allontanare per riflettere e poi ritornare a restituire eventi, emozioni, stati d’animo.
La capacità di analisi istituzionale e di riflessione sull’esperienza, ossia la capacità di analizzare il contesto educativo e l’ambiente-scuola e la capacità e la possibilità di riflettere sulla propria esperienza nella classe.
La capacità di negoziare e condividere: ossia la capacità di valorizzare e rispettare gli altri, la garanzia della riservatezza, sia nei gruppi di lavoro che nel gruppo-classe.
La capacità di stare nell’incertezza:ossia la capacità di percepire e far percepire l’incompiutezza come una condizione dell’esistenza e non come un valore negativo.
La capacità di distribuire potere: ossia la capacità di concepire il potere come possibilità di essere attivi e propositivi nel proprio ambiente di vita.

2. La scuola come contesto e come progetto
Un individuo già dai suoi primissimi giorni di vita interagisce reciprocamente nell’ambiente-famiglia, e poi nella scuola e nei contesti non-formali e informali di socializzazione, di formazione, di vita quotidiana.

Il lavoro di gruppo a scuola: il “lievito” e gli “ingredienti”.
Il lavoro di gruppo nella scuola e nel gruppo-classe avviene all’interno di diverse antinomie (presenza di 2 proposizioni riguardanti uno stesso oggetto ma che sono reciprocamente contraddittorie). Le antinomie principali che riguardano il gruppo e il lavoro di gruppo nella scuola sono autorità/libertà e io/gruppo.
L’antinomia autorità/libertà si manifesta soprattutto nelle relazioni asimmetriche tra dirigenze e insegnanti, tra insegnanti e allievi, e nel gruppo-classe anche tra gli allievi stessi e nel team.
L’antinomia io/gruppo si manifesta soprattutto nelle dinamiche tra dirigenza, figure di sistema, insegnanti, all’interno del team di classe e di interclasse, del gruppo del personale di assistenza, di quello amministrativo, del collegio dei docenti, dei gruppi dei genitori, nelle relazioni tra gli allievi all’interno del gruppo-classe.





RELAZIONI E LAVORO DI GRUPPO NEL GRUPPO-CLASSE

ANTINOMIE E RISPOSTE POSSIBILI












































RELAZIONI E LAVORO DI GRUPPO NELLA SCUOLA

ANTINOMIE E RISPOSTE POSSIBILI









































Interazione→ scambio comunicativo, azione reciproca o sistema di scambi tra più soggetti
Relazione→ storia di micro-scambi con uno stile particolare in un clima e in un contesto particolare
Il gruppo-classe è formato dai docenti, dagli altri adulti che vi lavorano, dagli allievi e anche dai genitori, ha come caratteristica il fatto di condividere un progetto e una responsabilità.
Il team docente ha il compito di progettare e scegliere gli obiettivi e i contenuti disciplinari, le metodologie didattiche, lo stile relazionale, la valutazione dei prodotti e dei processi; nel momento in cui viene formato, il team docente non è altro che un insieme di soggetti in interazione.

Dal gruppo al gruppo di lavoro
Il percorso dall’interazione all’integrazione richiede tempo e impegno e contribuisce a trasformare sia le caratteristiche interne del soggetto gruppo (e degli individui che lo compongono) sia le sue relazioni con l’ambiente. Fasi di questo percorso:
interazione = percezione di essere dentro, di essere parte dell’evento gruppo -> poi coesione del/nel gruppo -> insieme di forze che spingono ogni componente a restare unito agli altri
dalla coesione all’interdipendenza -> acquisizione della consapevolezza di dipendere gli uni dagli altri, della necessità reciproca, lo sviluppo della rappresentazione di un’unità basata sulla differenza e sulla sofferta elaborazione dei confini
dall’interdipendenza all’integrazione -> alla ricerca dell’integrazione come una situazione di equilibrio possibile

3. La classe come sistema complesso
Apprendimento come sviluppo contestualizzato e storico
Oggi la ricerca psicologica e quella pedagogica considerano lo sviluppo e l’apprendimento collegati tra loro e basati sull’azione nel contesto.
Secondo Durkheim, la socializzazione è un processo attraverso cui i nuovi membri vengono educati a esercitare le capacità e a seguire le norme della cultura. Oggi la socializzazione non è più vista come l’adattamento dell’individuo a una società preesistente, ma come un processo interattivo tra la società e l’individuo, un rapporto in cui l’individuo ha un ruolo attivo nel rendere possibile il cambiamento.
Se prendiamo in considerazione questa prospettiva, allora possiamo chiederci: che cosa si impara effettivamente nella scuola dal punto di vista emotivo-affettivo e cognitivo? Ciò che si impara a scuola ci offre le competenze richieste nei contesti della vita quotidiana e lavorativa? Si può nella scuola imparare dalle differenze personali e culturali, osservando gli altri ed essendo osservati?

Attori e ruoli, vincoli e copioni
I protagonisti della vita della scuola e della classe sono i singoli allievi, il gruppo dei pari, gli insegnanti, le famiglie.
Il bambino e la bambina -> Il bambino e la bambina portano a scuola un mondo di emozioni, conoscenze, appartenenze, caratteristiche di personalità, attitudini. In famiglia e nella scuola dell’infanzia, il bambino/a imparano a perseguire i propri obiettivi e desideri, a evitare o affrontare i conflitti, a cooperare, a essere di aiuto, ma anche a mentire, a imbrogliare. Per alcuni la classe rappresenta una grande avventura per altri invece un salto nel vuoto. Molte ricerche dimostrano che sono molti i bambini/e, gli adolescenti e i giovani che si sentono soli o ansiosi nei confronti della scuola, e che hanno poca fiducia negli insegnanti. La classe è teatro di relazioni dirette e indirette con insegnanti, gruppo dei pari e le regole interne alla scuola stessa. La qualità delle relazioni che si instaurano nel gruppo-classe sono molto importanti per il futuro sviluppo sociale del ragazzo. Le relazioni hanno la funzione di essere dei contenitori e trasportatori di emozioni e affetti.
Il gruppo dei pari -> Il gruppo dei pari rappresenta un contesto che ha un peso notevole nello sviluppo della personalità. La socializzazione dipende molto dal contesto, e i bambini apprendono schemi comportamentali, stili cognitivi ed emozionali specifici per il contesto. Secondo la teoria della socializzazione di gruppo, il gruppo dei pari ha un peso notevole sulla socializzazione. Il gruppo dei pari crea una propria cultura selezionando e rifiutando determinati aspetti della cultura adulta; i bambini trasmettono poi al gruppo dei pari i comportamenti appresi a casa ma soltanto se ritengono che questi comportamenti sia accettati dalla maggior parte del gruppo. Nel gruppo dei pari poi si verificano una serie di processi: i membri di un gruppo preferiscono il loro gruppo ad altri, tendono a adattarsi alle norme del gruppo, all’interno del gruppo si creano differenze di status sociale e popolarità che possono avere effetti sulla personalità; questi aspetti restano stabili nel tempo. Ciò che interessa maggiormente della teoria della socializzazione è il modello di trasmissione della cultura dal gruppo degli adulti a quello dei bambini.
Gli insegnanti -> Gli insegnanti sono prima di tutto membri di un team docente e hanno responsabilità di ciascuno e di tutti i bambini/e che gli vengono affidati. Nel gruppo-classe gli insegnanti esercitano il ruolo di facilitatori, di tutor sia dei singoli individui che del gruppo. Sono poi protagonisti perché scelgono i metodi d’insegnamento/apprendimento, e poi devono essere in grado di costruire un clima relazionale all’interno del gruppo-classe. Quello dell’insegnante è un lavoro di co-costruzione perché le regole devono essere state discusse e stabilite insieme con colleghi e allievi. L’insegnante racchiude in sé l’identità di chi impara e di chi insegna: deve essere più adulto per quanto riguarda le competenze professionali, ma allo stesso tempo deve essere parte del gruppo-classe. Deve coordinare la sua funzione di facilitatore con l’azione degli allievi, del gruppo, del gruppo-classe, e deve coordinare il proprio progetto e la propria azione con il team docente e le famiglie. Quello dell’insegnante è anche un lavoro di manutenzione, perché deve “curare” i legami di ogni singolo bambino con i compagni e con il contesto, la comunicazione e la collaborazione nel team e con le famiglie, ecc.
Le famiglie -> Le famiglie sono i luoghi-soggetti formativi più vicini dal punto di vista affettivo e spazio-temporale al bambino/a; all’interno della famiglia si costruiscono relazioni significative, scale di valori, concezioni della vita e del mondo, regole, ecc. Le famiglie sono 2 volte presenti nella scuola: sono DENTRO la classe e FUORI perché il figlio/a porta a scuola la famiglia e viceversa. Sono presenti come attori e spettatori, ma sono gli insegnanti e i dirigenti scolastici a renderli tali.

La diversità come risorsa
Il termine diverso deriva dal latino diversus, ossia voltato in altra parte o direzione, contrario, opposto, deviante.
Nella cultura occidentale, il diverso genera timore, paura, e questo a causa di pregiudizi e stereotipi negativi.
Qui vengono prese in considerazione due grandi diversità, che possono essere raccolte in due categorie: la dimensione interpersonale e la dimensione culturale.
La dimensione interpersonale si riferisce alla rete formale e informale delle relazioni, dove entrano in comunicazione diversi corpi, bisogni, intelligenze, deficit, handicap e talenti. Con il termine handicap si fa riferimento alle difficoltà che derivano da un deficit, ma mentre il deficit difficilmente è annullabile, l’handicap a seconda del contesto può essere ridotto, annullato o anche aumentato. Con il termine talento si fa riferimento a quelle particolari doti personali che derivano dall’interdipendenza di 3 fattori: alto potenziale cognitivo, creatività e motivazione che però vanno associati a 3 fattori dell’ambiente sociale che aiutano a formare talenti, e cioè i rapporti sociali che si vengono a creare nella famiglia, nella scuola e con gli amici.
La dimensione culturale si riferisce all’intreccio di rapporti, gesti, riti, lingua, usi, costumi, valori dei contesti di appartenenza.

Una speciale normalità inclusiva
Ogni bambino può raggiungere risultati positivi sia a livello cognitivo che affettivo, emotivo e sociale, se il primo obiettivo del curricolo scolastico è quello dell’inclusione e della specialità.
Ogni classe/sezione, ma anche ogni scuola, dovrebbe conoscere, rispettare e coltivare quella normalità che fa riferimento al bisogno di appartenenza e di sentirsi riconosciuto per la propria dimensione personale. Ogni classe/sezione, ma anche ogni scuola, dovrebbe conoscere, rispettare e coltivare quella specialità che fa riferimento al bisogno di identità, di sentirsi diverso dagli altri e di percepire questa diversità come un valore, una condizione di crescita individuale e sociale.
Per questi motivi la scuola e la formazione degli insegnanti devono essere aperti al concetto di poliedricità della scuola, che mette al centro un progetto educativo che sia in grado di promuovere l’originalità, l’individualità del bambino/a.
In campo pedagogico l’attenzione alla persona e alle sue caratteristiche è l’idea-guida principale della scuola attiva, delle esperienze americane della prima metà del ’900, di Freinet, del Movimento di Cooperazione Educativa, della pedagogia istituzionale, tutte accomunate dalla volontà di associare il principio dell’individualizzazione con quello della cooperazione con lo scopo del pieno sviluppo delle potenzialità individuali.
Per questo è necessario un curricolo poliedrico, ricco di opportunità personali, che sia in grado di avvicinare il bambino/a ai saperi attraverso una molteplicità di strategie: trasmissione, confronto, discussione, un apprendere facendo con le mani e con la mente sia a livello individuale che di gruppo.

I guadagni pedagogici e didattici della diversità
Una classe/sezione e una scuola che abbia come fine quello dell’inclusione e della valorizzazione delle originalità e diversità:
mette al centro la costruzione di un ambiente-classe, di un ambiente-gruppo di pari, di un ambiente-scuola positivo, che crea appartenenza, che è basato sull’istituzione negoziata e condivisa delle regole della vita quotidiana;
eleva il livello potenziale del gruppo-classe e dei singoli bambini/e adottando approcci di cooperative learning e strutture di coppia, di piccolo gruppo, di tutoring, dove chi è in situazione di diversità è considerato parte del gruppo-classe e del percorso, facendo attenzione ai suoi bisogni formativi;
potenzia la metacognizione: attraverso il confronto e la riflessione si permette al bambino/a di riconoscere ed elaborare tutto ciò che è viene vissuto come diverso da sé e dai propri schemi comportamentali. Per fare ciò, è però necessario riconoscere sia la diversità altrui che la propria: l’altro/a è diverso/a da me perché io sono diverso da lui/lei;
sviluppa le competenze individuali, le specifiche attitudini e talenti personali: questo è possibile attraverso strategie individualizzate come attività di laboratorio, e attraverso attività facoltative dentro scuola oppure quelle offerte dal territorio, oppure attività individuali o di gruppo in orario extra-scolastico.
Ciò che caratterizza un gruppo-classe/sezione, una scuola è il fatto di essere una vera e propria fabbrica di competenze e umanità, un contesto sociale quasi naturale in cui si possono costruire reti sociali tra pari che rendono la diversità una risorsa.

Imparare a pensare
Nella scuola cosa si impara effettivamente sul piano emotivo-affettivo e sul piano cognitivo?
La risposta a questa domanda è che se si creano le condizioni giuste si impara a pensare e si imparano le abilità per la vita.

Il laboratorio come contesto di co-costruzione di specifiche intelligenze
In campo educativo e formativo un laboratorio è un contesto specifico di apprendimento basato su un determinato oggetto culturale, è poi uno spazio fisico e sociale attrezzato che funge da teatro delle attività che si svolgono.
Un laboratorio si riferisce a un determinato contenuto o oggetto, è sempre laboratorio di e fa riferimento al sistema di conoscenze e aree di abilità proprie di un metodo/luogo di produzione.
Si caratterizza per l’organizzazione del contesto, ossia dello spazio fisico, dei tempi, dell’ambiente socio-cognitivo e relazionale.
Ciò che si fa in laboratorio è un’attività svolta in prima persona dai partecipanti, si utilizzano metodi e tecniche coerenti sia con la sintassi dell’oggetto culturale cui il laboratorio è indirizzato e sia con un approccio partecipativo e attivo dei partecipanti, e quindi con la concezione dell’apprendistato, della ricerca, del learning by doing, del problem solving, della philosofy for children, dell’apprendimento cooperativo, della riflessione sull’esperienza.
Mentre l’attività laboratoriale è un’attività produttiva, in senso fisico-materiale, perché produce materiali che riguardano un determinato ambito, “di laboratorio” è una situazione che ha il carattere dell’attivismo (ossia che coinvolge il corpo e la mente), del pensiero produttivo, dell’apprendere discutendo, ragionando insieme, di un learning by doing che è anche un apprendere facendo un lavoro mentale con gli altri.
Allestire un ambiente che generi apprendimento significa creare l’opportunità di sperimentare-fare con tutti i sensi, di confrontarsi-riflettere sulla propria e altrui esperienza. Dovrebbe quindi:
rappresentare la naturale complessità del mondo reale, piuttosto che semplificarlo;
presentare compiti fondati su situazioni reali, significative;
alimentare pratiche riflessive;
attivare processi di costruzione di conoscenze e aree di abilità, piuttosto che processi di pura ricostruzione;
utilizzare forme di co-costruzione cooperativa della conoscenza basate sulla negoziazione delle concezioni, la soluzione di problemi, l’assunzione di responsabilità individuale e di gruppo;
contare su un docente e/o un team che produce e/o fa in prima persona ricerca e che ha previsto le condizioni migliori per rendere il gruppo e gli individui produttivi.

lavorare per produrre processi e prodotti
Il laboratorio è un contesto specifico di apprendimento e co-costruzione delle conoscenze e aree di abilità e un luogo/metodo di produzione, sia nel caso di un fare simile a quello della “bottega artigianale”, e sia nel caso di un fare ricerca simile a quello di una “comunità scientifica”.
Quando si paragona il laboratorio alla bottega artigianale si fa riferimento al modello dell’apprendistato, mentre quando lo si paragona alla comunità di discorso si fa riferimento all’esperienza, al metodo di ricerca e al lavoro scientifico.
il modello dell’apprendistato -> Nel modello dell’apprendistato si dà particolare importanza alla funzione di tutoring e di guida di un adulto, il quale deve essere in grado di fornire un ambiente che generi apprendimento; l’adulto deve essere un esperto nel settore, che deve dimostrare e dare istruzioni verbali contestuate, ossia si devono fornire le istruzioni principali per l’esecuzione e deve mostrare gli errori fatti e/o quelli da evitare. Questo è un tipo di apprendimento:
ATTIVO perché basato sull’azione in situazione
ICONICO perché basato sull’osservazione della dimostrazione pratica
ANALOGICO perché basato sulla simulazione e sull’imitazione
SIMBOLICO perché basato sui linguaggi e sistemi simbolici.
Il modello dell’apprendistato si caratterizza per:
la costruzione di una specifica intelligenza attraverso l’utilizzo di strumenti tipici di un certo sapere
la cognizione socialmente condivisa e distribuita
il ragionamento in situazione
un’esecuzione competente.
Poiché l’azione che ho compiuto è un’azione che conosco perché l’ho prodotta io, la percezione differenziale produce una conoscenza della natura dell’oggetto. Questo è un tipo di apprendimento percettivo-motorio perché è basato su cicli ripetuti di percezione-azione. Questo processo cognitivo non solo attiva saperi pratici ma produce anche acquisizioni legate alla capacità di analisi, sintesi, metodo, creatività.
Le tre forme di rappresentazione della realtà e delle conoscenze sono:
la rappresentazione ATTIVA è basata sulla percezione-azione, preferita dai bambini piccoli i quali identificano un oggetto non per le sue qualità ma per l’uso che se ne fa
la rappresentazione ICONICA basata sull’osservazione e sulla rappresentazione concreta dell’oggetto
la rappresentazione SIMBOLICA basata sui sistemi di segni e sui linguaggi di una cultura.

apprendimento simbolico-ricostruttivo, apprendimento percettivo-motorio e apprendimento riflessivo
L’apprendimento simbolico-ricostruttivo e quello percettivo-motorio rappresentano una delle antinomie dell’educazione/istruzione/formazione.
Entrambi hanno caratteristiche opposte sia nel processo che nel prodotto.
Nell’apprendimento simbolico-ricostruttivo:
il lavoro avviene soprattutto all’interno della mente
il lavoro è cosciente ed esplicito
la conoscenza che ne deriva dipende dalla padronanza dei linguaggi simbolici, è affidata allo studio, alla memorizzazione, alla costruzione razionale di strutture logiche.
Nell’apprendimento percettivo-motorio:
il lavoro si basa sulla dinamica percezione-azione e sul linguaggio del senso comune
il lavoro comporta una ripetizione focalizzata che comporta una serie di automatismi per cui la conoscenza e la consapevolezza del processo emergono in modo graduale; qui le azioni si susseguono rapidamente;
la conoscenza che ne deriva è una conoscenza situata che si basa sul fare esperienza di ciò che si apprende, è stabile, non decade con il tempo, basta che si presenti il contesto e torna subito in mente.
Il sistema percettivo-motorio è un sistema molto antico, mentre quello simbolico-ricostruttivo è più recente.
L’apprendimento riflessivo tra pari e/o con la guida di un esperto ha bisogno di alcune pratiche riflessive.
La riflessione sull’esperienza permette di integrare dialetticamente istanze implicite nell’antinomia apprendimento simbolico-ricostruttivo versus apprendimento percettivo-motorio. In questo modo è possibile confrontare e mettere alla prova la teoria con la prassi.
La riflessione dovrebbe essere centrata su “che cosa fa pensare”, su “perché si sta pensando a un certo concetto”, su “quali competenze si stanno costruendo”.
A seconda del livello di istruzione e dell’età si possono progettare:
esperienze di tirocinio e/o di lavoro
i processi e i prodotti di gruppi di lavoro impegnati su progetti
l’analisi dello sviluppo dei contenuti e dei processi interni a un percorso di insegnamento/apprendimento
l’analisi di progetti di ricerca proposti dal docente e/o portati avanti dai e/o con gli studenti
l’analisi di caso
la messa in gioco di abilità come le competenze sociali e comunicative
attività di gioco-laboratorio in ambito linguistico, musicale, ecc., che portano a scoprire le regole del funzionamento strutturale della disciplina, ad adottare il meccanismo attivo della congettura, ecc..
permette quindi la riflessione sull’oggetto, sui processi, la revisione e l’autovalutazione dei processi-prodotti da parte degli allievi, il monitoraggio da parte del docente, permette inoltre il confronto tra ciò che viene percepito dagli allievi e ciò che viene osservato dagli insegnanti.

fare ricerca e pianificare progetti
Un percorso “di laboratorio”, che utilizza la metodologia della ricerca, richiede che:
vengano chiariti la natura e i termini del problema e del progetto e che venga formulato un set di domande iniziali a cui la ricerca dovrà rispondere
si compia un’approfondita ricognizione delle ricerche effettuate in questo ambito e dei risultati/prodotti ottenuto
vengano formulate delle ipotesi di lavoro per poter poi prendere delle decisioni all’interno delle alternative che si presentano
si rendano esplicite le procedure per la raccolta dei dati dichiarando i dispositivi e gli strumenti utilizzati
il piano della ricerca venga diviso in fasi, e che dopo ogni fase ci sia un momento di controllo e riflessione sui risultati del lavoro
si compia una riflessione e una valutazione finale anche comparativa rispetto ai risultati di altre ricerche
si comunichino i risultati della ricerca
venga riformulato il problema e/o che ne venga individuato uno nuovo.
Fare ricerca significa andare alla radice di un problema ipotizzando più soluzioni alternative e sperimentando le soluzioni ipotizzate.
Il progetto di una ricerca può incontrare resistenze e vincoli.
Può incontrare resistenze a vari livelli: dell’amministrazione, dei colleghi, dei genitori, che lo vedono come un modo di fare scuola troppo diverso dal loro.
Può incontrare vincoli cioè problemi materiali come il numero degli allievi, le caratteristiche dell’aula, ecc..

Dal contesto al testo e ritorno. E’ una sfida possibile?
Un laboratorio ben condotto dovrebbe accompagnare e sostenere il passaggio dal contesto al testo e ritorno. Il fare-dire-pensare è sensibile al contesto -> si apprende all’interno di una relazione tra menti (sia allievi e insegnanti sia tra coetanei) e all’interno di cornici e sensibilità affettivo emotive, sociali e culturali. Si delinea un approccio, un progetto in cui, accanto all’attenzione a una strutturazione coerente e ordinata del percorso di apprendimento, si rivolge grande attenzione al contesto di apprendimento -> non si rinuncia alla progettualità ma si pone in primo piano il soggetto che apprende fornendogli ancoraggi cognitivi e emotivo-affettivi, abilità di studio e competenze sociali per potere apprendere tramite il confronto, la discussione, la collaborazione.
La conduzione della didattica laboratoriale necessita di un insegnante capace di proporre strutture motivanti entusiasmo affinchè gli allievi possano impegnarsi nei campi che meglio posseggono e che più amano fino a raggiungere livelli di eccellenza che sappia stimolare la riflessione sull’esperienza, così come la ricerca, la simulazione, la capacità di mettersi in gioco.

Le abilità per apprendere ad apprendere
L’apprendimento è un fatto relazionale tra menti e in questo senso l’apprendimento dai propri errori è qualcosa che riguarda l’allievo ma non solo -> chiede ai compagni e all’insegnante la capacità di accompagnar l’allievo a centrare l’attenzione sul compito, a esporre ad alta voce e ad argomentare il proprio procedere e/o il proprio punto di vista, a riconoscere e ad affrontare situazioni di incertezza, a chiedere aiuto, a prestar aiuto ai compagni. Bisogna che un bambino scopra e impari a riconoscere le credenze e gli automatismi che l’inducono in errore, a prestare attenzione alla logica e all’emotività che sottende gli errori, i propri e quelli degli altri, e lo possa dare senza sentirsi valutato/a, piuttosto provando il piacere di una nuova conquista.

Quando una situazione è efficace in senso scolastico
quando propone modelli, abilità, tipologie di comportamento che passano dall’adulto all’allievo -> importanza delle figura dell’insegnante.
contenuti -> un bravo insegnante sa che tipo di problemi vuole esaminare con gli allievi e con quale metodo, sa quali norme di comportamento e di pensiero è opportuno presentare o fare intuire. Invece di solito nella scuola si mostra fin dall’inizio come si deve risolvere in problema, si portano modelli d’azione già pronti e così si riduce l’efficacia dell’apprendimento
organizzare comunità d’apprendimento -> comunità d’apprendimento = organizzazione di una situazione di classe in cui adulti e ragazzi lavorano insieme con lo scopo di costruire conoscenze e aree di abilità che hanno sempre uno spessore socio-cognitivo e un colore aggettivo/emotivo. Bisogna puntare non solo allo sviluppo di competenze disciplinari ma alla creazione di un effettivo senso di appartenenza e di partecipazione a una comunità -> importanza della messa a punto di ambienti generativi di apprendimento -> in ogni progetto la costruzione di un’impalcatura (scaffolding) è molto forte e strutturata -> si da spazio di azione al bambino avendo messo a punto, in modo quasi sperimentale, il contesto di apprendimento. I bambini dovrebbero venire abituati al ragionamento attraverso la discussione, dovrebbero acquisire abilità sociali, di studio, di sviluppo e organizzazione del compito e della comunicazione nel gruppo, dovrebbero essere avviati ai processi di pensiero scientifico, dovrebbero conservare una buona motivazione a imparare ad apprendere.

Imparare le abilità per la vita
individuo=parte di una rete sociale, piccolo punto nodale. Ha ramificazioni orizzontali con le altre persone e verticali che rappresenta la sua eredità biologica, che sviluppa durate tutta la vita.
La costruzione di questo individuo-soggetto-persona è un processo situato storicamente e socialmente in un contesto -> contesto il cui significato viene negoziato con il pensiero degli altri mediante la comunicazione conversazionale. Negoziato con le figure di riferimento. La scuola può costituire un contesto di appartenenza per la costruzione di life skills -> i bambini che intraprendono il percorso scolastico provengono da ambienti diversi, sono esposti a una proliferazione di stimoli e flussi di informazione che possono risultare stimolanti ma anche provocare una progressiva erosione del senso della collocazione di sè nel mondo -> compito urgente della scuola è di aiutarli ad avere consapevolezza di un’appartenenza simultanea a molti mondi.
La grande posta in gioco della scuola è quella di formare soggetti in grado di creare i fili dell’agire-sentire-pensare, di costruire una visione integrata delle proprie esperienze, di utilizzare le aree di abilità dei compagni come strumento per riconoscere le proprie specificità e attitudini.

Come sviluppare la creatività?
Per realizzare un ambiente propizio alla creatività sono necessarie tre condizioni psicologiche interne:
apertura all’esperienza
atteggiamento valutativo che non parta da criteri esterni
capacità di giocherellare con i concetti
Dal punto di vista pedagogico e didattico -> 4 considerazioni:
per sviluppare la creatività bisogna dare valore a tutti i saperi -> sia quello esperto della scuola che quello spontaneo dei bambini che quello fuori dalla scuola
occorre far sì che il gruppo-classe inizi a funzionare in quanto gruppo valorizzando le diversità interne e la circolarità della comunicazione
sistemare il gruppo in forma circolare
invitare a guardare chi parla per capire quando prendere la parola senza che sia l’insegnante a darla
visto che non tutti interverranno proporre ogni tanto un giro di parola
porre domande aperte
evitare commenti o valutazioni
accettare domande e idee non ortodosse
adottare metodologie e tecniche di didattica attiva
proporre esercizi di brainstorming
proporre attività ludiformi e di laboratorio
organizzare il lavoro di coppia e di piccolo gruppo a interdipendenza forte
concedere spazio all’esplorazione delle idee e anche alla possibilità di sbagliare
lasciare la possibilità di esplorare, formulare ipotesi e porre domande prima di dare dimostrazioni esperte
creare le condizioni affinchè ciascun alunno possa sperimentare il successo in un’attività e anche la visibilità che ne deriva agli occhi degli insegnanti e dei compagni
monitorare, sostenere, confermare

Come socializzare al silenzio?
Per comprendere il significato dei silenzi si deve fare grande attenzione al contesto. Ricerche mostrano che a scuola si concedono tempi di attesa molto brevi -> è stato dimostrato che allungando i tempi di attesa si determina un aumento del numero, della qualità e della lunghezza delle risposte, un aumento dei quesiti e degli interventi da parte degli alunni -> più tempo permette di riflettere maggiormente.
Tenere presenti 2 variabili:
preparazione degli insegnanti
il setting di classe -> sapere dare tempo al silenzio comporta una modifica del setting di cui i bambini hanno fatto esperienza fino a quel momento
Sapere dare tempo al silenzio contribuisce a coltivare quelle life skills tanto importanti in una società nella quale si tende a contrarre il tempo e lo spazio fino a fondere-confondere il tempo/spazio personal con quello condiviso e addirittura pubblico come in trasmissioni televisive tipo Grande Fratello.

Affettività e percorsi dell’intelligenza
Le paure dei bambini fanno parte del normale processo di crescita. Con l’ingresso a scuola può manifestarsi la fobia della scuola -> in classe è possibile riconoscere e ascoltare le paure dei bambini, sia quelle minute e quotidiane sia quelle grandi -> è però importante non forzarli a esprimerle ma star loro accanto, nutrire la loro fiducia e autostima fino a che non trovano da soli il gioco o il disegno o le parole per incominciare a raccontarle.
Il bilanciamento tra intelligenza e affettività è assai difficile -> una forte spinta emotiva può rendere più acuta la capacità percettiva, così come una crisi affettiva sembra far regredire la capacità dell’intelligenza di diversi anni di età mentale.

Essere resilienti
Resilienza = capacità universale, insieme di abilità che permette a una persona, a un gruppo, a una comunità di prevenire, minimizzare o superare le avversità della vita. E’ una capacità umana di base -> genitori, insegnanti e altri educatori promuovono la resilienza nei bambini attraverso le loro parole, le loro azioni e l’ambiente che forniscono. Le fonti di resilienza sono raggruppabili in 3 grandi categorie:
ciò che un bambino sente di avere -> io ho -> questi fattori sono i supporti e le risorse esterne che promuovono la resistenza -> sviluppano i sentimenti di sicurezza e protezione -> permettono di sentire/sapere di avere:
relazioni di fiducia
regole chiare e routines rassicuranti
esempi di comportamento e ruoli da imitare
incoraggiamento a essere autonomo/a
accesso alla salute, all’educazione, al benessere, ai servizi
sente di essere -> io sono -> fattori interni, forze personali, sentimenti, attitudini e credenze che promuovono la resilienza -> permettono al bambino di sapere di essere:
amabile
capace di amare, interessarsi agli altri e di saperli aiutare
fiero di sé e di quello che può fare
autonomo e responsabile
fiducioso/a
sente di potere -> io posso -> basati sulle abilità sociali e interpersonali che i bambini imparano dall’interazione con gli altri, adulti e coetanei -> permettono di sentire di potere:
comunicare pensieri e sentimenti, ascoltare cosa gli altri ci dicono e comprendere i sentimenti che provano
stare su un problema e risolverlo sapendo chiedere aiuto
controllare i propri sentimenti e sapere dare un nome alle emozioni
stimare il proprio temperamento e quello degli altri
perseguire e coltivare relazioni di fiducia

Un modello concettuale di ben-essere nelle scuola
Queste erano alcune delle life skills che vanno coltivate a scuola. Troppo spesso il ben-essere a scuola è stato separato da altri aspetti della vita scolastica -> Allardt definisce il benessere come la condizione in cui l’essere umano sente soddisfatti i propri bisogni di base che raccoglie in 3 categorie:
avere (having) -> riguarda le condizioni materiali e i bisogni personali in senso ampio
amare ed essere amati (loving) -> riguarda i bisogni di relazionarsi con altre persone e di costruire un’identità sociale
essere (being) -> riguarda la crescita personale
Per valutare il benessere occorrono sia indicatori oggettivi (statistiche, e osservazioni esterne) sia soggettivi ( percezione soggettiva delle condizioni di vita -> questionari, interviste…). Nel modello di Allardt insegnamento e apprendimento sono interconnessi -> il contesto educativo ha effetti su tutte le categorie di benessere ed è correlato con l’apprendimento. Anche le famiglie e la comunità circostante hanno un impatto sulle scuole e sui bambini.

Indicatori oggettivi e soggettivi per valutare il benessere a scuola

Bisogni di base Indicatori oggettivi Indicatori soggettivi
AVERE
(bisogni materiali e impersonali)





AMARE
(bisogni sociali)



ESSERE
(bisogni di crescita personale) Misure oggettive del livello e delle condizioni di vita





Misure oggettive delle relazioni con altre persone


Misure oggettive della relazione delle persone con la società e con la natura
Soddisfazione-insoddisfazione soggettiva, sentimento di soddisfazione-insoddisfazione delle condizioni di vita


Felicità-infelicità, percezione soggettiva delle relazioni sociali


Percezione soggettiva di alienazione o crescita personale




















Il ben-essere secondo il modello proposto da Allardt

CASA
Contesto
Esterno

Comunità

CONTESTO DI INSEGNAMENTO
CONTESTO DI APPRENDIMENTO
SCUOLA
BEN-ESSERE

Avere Amare Essere Salute
Condizioni della scuola

Contesto territoriale

Numerosità classi

Punizioni

Sicurezza

Servizi

Cura della salute

Mensa

Relazioni sociali

Clima relazionale della scuola

Dinamiche di gruppo

Relazioni insegnanti/studenti

Bullismo

Cooperazione scuola e famiglia

Management

Percezione di autoefficacia

Valore attribuito all’impegno degli studenti

Sostegno e incoraggiamento

Incremento dell’autostima

Uso della creatività

Stato di salute

Sintomi psicosomatici

Disturbi cronici

Malattie comuni

Malattie da raffreddamento








4. Metodi, strategie e tecniche
L’etimologia del termine metodo rimanda al procedere indietro per investigare, alla via e al modo per investigare. Indica un cammino da percorrere e ripercorrere escludendo improvvisazione e casualità. È quindi necessaria un’organizzazione sistematica e coerente con una teoria, con un preciso sistema di ipotesi.
La strategia didattica seleziona modalità di intervento che tengono conto del contesto e dei soggetti. Nasce da una riflessione sulla teoria e si adegua alle specifiche necessità di una particolare pratica educativa: procede quindi attraverso momenti conoscitivi, momenti di decisione, momenti operativi. Il suo scopo è quello di rilevare le funzioni che si osservano nel processo d’insegnamento/apprendimento e le interazioni che si stabiliscono tra queste funzioni.
Le tecniche sono invece soluzioni operative, materiali didattici per rendere l’insegnamento più efficace.

Attivazione del piccolo e del grande gruppo
Brainstorming nel piccolo gruppo
Il brainstorming è una metodologia attiva che dà spazio-tempo alla fase immaginativa. letteralmente significa “tempesta nel cervello”, ed è anche definito riunione di creatività proprio per sottolineare la produttività, ossia la grande quantità di idee-concetti-ipotesi che questo metodo permette di raccogliere, e la creatività ossia la qualità, novità, originalità di idee e di ipotesi.
Questa metodologia si basa sulla teoria dell’associazione di idee per contiguità, somiglianza o contrasto rispetto al già noto e può costituire:
un valido strumento di produzione-invenzione, perché facilita i processi associativi
uno strumento di formazione-addestramento alla produzione-invenzione.
Una tecnica d’indagine che permette all’insegnante di raccogliere-riconoscere i sistemi di conoscenze posseduti dagli allievi o dai membri del gruppo.
Venne elaborato nel 1939, ma diffuso dopo il 1953 da Osborn. Le regole di questa metodologia sono poche proprio per lasciare spazio-tempo all’immaginazione, quindi le regole da seguire sono:
va raccolto il massimo di idee
è vietata ogni critica
è benvista ogni idea anche strampalata
è benvista ogni combinazione e/o trasformazione delle idee di altri.

quale struttura di gruppo per il brainstorming?
Scopo-occupazione del gruppo -> Questa tecnica può essere usata per inventare e scegliere il nome di un laboratorio, del giornalino di classe, di una festa speciale, ecc.. Può essere anche un metodo per affrontare problemi organizzativi. Può essere usata durante lo svolgimento di un’unità di apprendimento e di un progetto didattico sia nella prima fase che nella fase di verifica intermedia o finale. Può essere utilizzata ogni volta che si ritiene utile dare alla fase immaginativa del gruppo uno spazio-tempo privilegiato in un clima gruppale collaborativo.
Organizzazione del gruppo
Quanti: il gruppo di brainstorming dovrebbe comprendere non meno di 6 e non più di 12 componenti.
Quali: è opportuno che il gruppo sia eterogeneo per quanto riguarda il livello cognitivo, il genere, a formazione, ed anche l’età. Nel selezionare i componenti bisogna tener presente la necessità che il gruppo trovi un buon equilibrio interno.
Dove: il luogo dell’incontro dovrebbe essere confortevole, protetto da rumori e interferenze esterne, le sedie devono essere confortevoli, inoltre dovrebbe essere dotato di lavagna o tabellone per registrare tutte le idee espresse.
Per quanto tempo: una seduta di brainstorming di solito dura dai 40 minuti a 1 ora.
Consegne operative-principi base e conduzione: il brainstorming si divide in una fase preliminare (di preparazione), in una fase di produzione-invenzione (di ricerca comune, di raccolta, ecc.) e in una fase di analisi-decisione (di spoglio e di selezione delle idee).
Nella fase preliminare, di preparazione viene definito l’oggetto del brainstorming e si stabilisce anche la durata dell’incontro.
Prima fase, di produzione-invenzione: chi conduce invita il gruppo a produrre nel minor tempo possibile il massimo delle idee utilizzando frasi brevi e parole. Si può trarre ispirazione delle idee altrui per svilupparle, combinarle con altre. È comunque importante sottolineare una regola fondamentale: non sono ammesse critiche e commenti, perché l’obiettivo è quello di fare “cesto” delle idee del gruppo.
Seconda fase, di analisi-decisione: tutto il gruppo rilegge le idee e le ordina su un cartellone. Tra tutte queste idee verranno scelte le migliori, eliminando tutte quelle che non rispondono a ciò che il gruppo sta cercando. La riuscita di questa fase dipende dall’enfasi che si è messa nell’evidenziare che l’obbiettivo è fare “cesto” per il gruppo e che un’idea anche strana può far venire in mente ad un compagno proprio l’idea che serve al gruppo.
a mettere in circolo idee s’impara
l’inventaparole, ovvero combinare idee per inventare. Si formano gruppo di 4 e a ogni gruppo viene data questa consegna:”cercate una cosa, una qualità, un’azione a cui non corrisponda nella lingua italiana una parola precisa”. Utilizzando la tecnica del brainstorming cercate di inventare un neologismo per denotarla (neologismo = parola nuova, inventata, che serve ad attirare l’attenzione su un nuovo messaggio). Per esempio:
Cullare un bambino che piange = cullulare
Unghia del mignolo = mignunghiola
Il gioco delle associazioni verbali. Viene proposta a un gruppo di allievi una parola-stimolo chiedendo di associarvi tutte le parole che hanno a che fare con essa. Le parole-stimolo possono riguardare temi molto generali come famiglia, amicizia, lavoro, ecc., oppure concetti propri di una specifica disciplina come ad esempio la fisica e quindi energia, forza, potenza, ecc.. una volta registrate tutte le parole si possono aggregarle in una mappa concettuale.
Il gioco del dash, ovvero di brainstorming, collaborando. Si formano gruppi di 5 studenti (età 8-9 anni). Ogni gruppo è seduto intorno ad un tavolo. Ad ogni studente viene consegnato un foglio bianco nel quale dovranno scrivere in alto il proprio nome oppure un nome di fantasia. Ad ognuno viene poi consegnato un po’ di dash (2-3 etti).
Prima fase. Viene data la seguente consegna: “ciascuno posi il dash che ha ricevuto sul foglio, al mio via incominci a lavorarlo secondo una propria idea-progetto. Quando dirò “cambio” battendo le mani (ogni minuto circa) ciascuno deve passare il proprio foglio e il proprio dash al compagno/a di destra che continuerà secondo le proprie intuizioni e intenzioni”. Quando il dash e il foglio con il proprio nome passerà per la seconda, terza volta dal titolare, lo stop dell’insegnante concluderà il gioco. È anche possibile distruggere il lavoro che arriva e improvvisare attrezzi di lavoro per ottenere un risultato migliore.
Seconda fase. Ogni titolare del foglio e relativo dash è invitato a commentare il risultato ottenuto attraverso il lavoro di gruppo.
Terza fase. I componenti di ogni gruppo sono invitati a raccogliere tutti i lavori al centro del tavolo e inventare una storia che comprenda tutti gli oggetti-personaggi costruiti.
Quarta fase. Ogni gruppo inventa un titolo per la propria storia e si prepara per la rappresentazione, utilizzando supporti sonori, musicali, canori, grafici.
Quinta fase. Ogni gruppo rappresenta la propria storia. È gradito l’applauso dei compagni e dell’insegnante, ed è opportuno lasciare circa 30 minuti per poter dire come ci si è trovati, quali sono stati i momenti più difficili, piacevoli, divertenti.
Phillips 6×6 nel grande gruppo
Questo metodo venne inventato nel 1948 dall’americano Phillips per far partecipare un uditorio di circa 100 persone ad una discussione.
tecnica
L’animatore della riunione espone un quesito preciso, che deve essere accuratamente enunciato
L’uditorio è invitato a frammentarsi in gruppi di 6 persone che possono restare a discutere sul posto, le persone che già si conoscono non devono riunirsi nello stesso gruppo
Ogni gruppo dedica 1 o 2 minuti a far conoscenza, elegge un presidente che ha il compito di assicurarsi la partecipazione di ognuno, indica un segretario che sarà il referente del gruppo nell’assemblea generale
Ogni gruppo compie un veloce brainstorming: fa un “cesto” delle idee e delle proposte e poi seleziona quelle migliori che il segretario esporrà all’assemblea
La discussione in gruppi di 6 persone dura 6 minuti, da qui il metodo 6×6 = un gruppo di 6 persone che discute per 6 minuti
Dopo la fine della discussione, ogni relatore presenterà i risultati del suo gruppo all’assemblea generale.
efficacia
Si ottiene rapidamente e senza disordina una partecipazione completa di un grande gruppo; questo metodo è importante per interessare un uditorio ad un problema, per portare le persone a esprimersi e scambiarsi idee, ecc.
Si raccolgono rapidamente tutte le opinioni di un’assemblea, i suoi suggerimenti, le domande da porre, ecc.. tutto ciò è facilitato da 2 motivi:
l’anonimato è rispettato: il segretario comunica le conclusioni del proprio gruppo ma non cita nessuno in modo individuale, può parlare liberamente perché esprime l’idea del gruppo e non la propria
ai relatori successivi al primo si chiede di aggiungere solo le ipotesi/idee nuove.
limiti
L’animatore generale della riunione è sottoutilizzato
Non possono essere affrontati problemi complicati
Il livello delle opinioni raccolte è superficiale e cosciente, la discussione non direttiva o il brainstorming in piccolo gruppo sono più efficaci ma richiedono più tempo e meno partecipanti.
Cooperative learning
Intervista a tre passi
OGGETTO:____________________________________________________
Organizzarsi in gruppi di 4 che chiamiamo GRUPPI DI BASE (GdB)
Ogni gruppo forma 2 coppie: A, B e C, D.

consegna
A racconta/spiega a B, B racconta/spiega ad A.
C racconta/spiega a D, D racconta/spiega a C.
Tempo: 15 minuti.
Il GdB si ricompone e A racconta a tutto il gruppo le esperienze fatte da B, B racconta quelle fatte da A; la stessa cosa fanno C e D.
A questo punto, il GdB concorda cosa raccontare al grande gruppo.
Il tempo che ogni gruppo ha per raccontar alla classe è di al massimo 5 minuti.
Questa tecnica è utilizzata molto nei giochi di conoscenza, può essere suggerita anche ai genitori.
Questa tecnica può essere utilizzata anche nell’attività didattica, come:
Jigsaw
Significa letteralmente “gioco di costruzione a incastro” o anche “puzzle”.
procedura -> L’insegnante presenta in modo chiaro la procedura del gioco e gli obiettivi che si vogliono raggiungere.
prima fase – lavoro individuale
I partecipanti vengono divisi in gruppi di base di 4 persone e vengono distribuiti 4 fogli con i testi, i fogli devono poi essere numerati da 1 a 4.
Gli allievi possono scegliere uno dei testi, in alcuni casi i testi possono essere assegnati personalmente dall’insegnante, ad esempio nel caso in cui un allievo necessita di testi più brevi o più semplici.
Il lavoro in questa prima fase è individuale. Ogni alunno ha il compito di analizzare attentamente il testo e tradurlo in schemi più semplici per farlo capire ai compagni. L’insegnante indica il tempo disponibile.
seconda fase – gruppo di esperti
Si formano i gruppi degli esperti, che sono formati dai membri stessi che devono analizzare lo stesso testo. È l’insegnante ad indicare nella presentazione il posto dell’aula in cui devono trovarsi gli esperti. Lo spazio assegnato può anche essere contrassegnato con il numero del testo. In questo modo il bambino una volta finito il lavoro individuale potrà sistemarsi nel gruppo corrispondente.
L’obiettivo dei gruppi esperti è quello di confrontare e spiegare gli schemi di sintesi preparati, chiarire quali sono le idee principali, discutere sulla forma migliore e sui diversi modi di presentarlo, preparare domande e/o test di controllo.
terza fase – ritorno al gruppo di base
Ogni allievo ritorna al gruppo di base con l’obiettivo di far comprendere il proprio argomento ai compagni.
Alla fine il gruppo di base compila la mappa semantica e risponde alle domande del questionario.
quarta fase
Finito l’esame degli argomenti proposti, ogni membro risponde alle domande del questionario di controllo.
Eventualmente ci può essere anche una quinta e una sesta fase.
Nella quinta fase il gruppo di base si incontra come gruppo cooperativo per una revisione in vista della prova individuale.
Nella sesta fase si svolge la prova individuale.
Si può anche chiedere ad ogni gruppo di base di preparare una serie di prove di verifica che verranno poi consegnate all’insegnante, il quale potrà decidere di utilizzarne alcune per la prova individuale.
Controversia
Organizzare gruppi di 4, che chiamiamo Gruppi di Base (GdB).
Ogni GdB si divide in due coppie:A,B e C,D.
consegna
A e B si preparano ad esporre argomenti convincenti su una determinata tesi.
C e D si preparano ad esporre argomenti convincenti su un’altra tesi relativa però sempre alla stessa tematica.
Tempo: 15 minuti.
Alla fine le due coppie si comunicano le rispettive convinzioni: la coppia che espone, cerca di essere il più chiara e comprensibile possibile, mentre la coppia che ascolta prende appunti, fa domande per chiarimenti ma non discute mai degli argomenti portati dall’altra coppia.
Tempo: 10 minuti.
A questo punto le coppie si cambiano le posizioni.
consegna
C e D si preparano ad esporre argomenti convincenti sulla tesi difesa precedentemente da A e B. la stessa cosa fanno A e B.
È a questo punto che si apre la discussione nel gruppo-classe.
Prima della controversia è opportuno che gli allievi si documentino su testi, raccogliendo testimonianze, materiali, interviste, in modo da conoscere entrambe le posizioni sul problema.

Simulazione e formazione
Caso e analisi del caso
Il caso è sempre una situazione problematica. Di solito è l’esposizione scritta di un fatto reale come stimolo a un esercizio di analisi delle cause, degli elementi più importanti ed anche delle decisioni da prendere o idee da raccogliere.
È una tecnica molto antica, applicata soprattutto in campo giuridico.
Dagli anni 50-60 si è diffusa anche in Italia.
A seconda del campo di applicazione, si sono sviluppate altre modalità, come: case-work terapeutico per uso individuale e per problemi di natura sociale e relazionale; case-work aziendale per raccogliere informazioni, ipotesi risolutive di problemi reali; case-work di gruppo per momenti formativi o di animazione sociale, di analisi, di osservazione e di processo decisionale.
il procedimento della tecnica dei casi può essere così articolato:
Si presentano la tecnica e il caso: il conduttore presenta la tecnica, distribuisce il testo scritto del caso ai partecipanti. Poi vengono assegnati alcuni minuti per la lettura individuale a cui può seguire una lettura collettiva anche attraverso l’utilizzo di slides sulla lavagna luminosa.
Si dà la possibilità di rivolgere a chi presenta il caso alcune domande di ulteriore chiarificazione
Si procede all’analisi, si apre la discussine e si stimola la capacità di analisi di ciascuno
Si procede alla raccolta-registrazione delle ipotesi di soluzioni emergenti.
L’apprendimento è per scoperta e coinvolge il gruppo attraverso una serie di abilità:
Valutare le informazioni disponibili, organizzarle
Agire senza avere tutte le informazioni che occorrono
Distinguere le cause dai sintomi
Concentrare tutte le capacità e le doti individuali sulla situazione problematica
Prevedere vie alternative di soluzione
Esporre chiaramente a tutti i componenti del gruppo le analisi e le proposte
Utilizzare punti di vista alternativi.
Il caso non ha una soluzione predeterminata.
gli autocasi o «ricerca d’aula» o training group
Questa tecnica ha una funzione conoscitiva ed esplorativa ed è tra i metodi utilizzati nei gruppi di formazione uno dei più efficaci. Qui i casi reali sono preparati dai componenti stessi del gruppo e sono riferiti alla propria esperienza.
L’autocaso sviluppa la capacità d’interpretazione della propria realtà organizzativa da diversi punti di vista ed è strutturato in 4 fasi:
racconto analitico del caso
richiesta di ulteriori spiegazioni da parte dei componenti del gruppo a chi ha portato il caso
avvio della discussione
conclusioni sui significati emersi e ricerca di risposte alle domande poste.
ROLE PLAYING
Questa tecnica implica l’esame e la discussione di documenti e richiede anche il coinvolgimento diretto dei partecipanti che devono assumere dei ruoli e improvvisare delle situazioni sulla base dei dati forniti all’inizio
elementi del role-play -> consente ai partecipanti un confronto drammatico e una classificazione di:
informazioni e aspettative personali sulla società
relazioni interpersonali e modi di vivere
rapporti tra i dati e la conoscenza di situazioni quotidiane
scopi:
diagnosticare e valutare -> capire come gli individui reagiscono in determinate situazioni
prendere delle decisioni
provare
cambiare atteggiamento
avere consapevolezza di se stessi
come si realizza attività:
spiegazione del perché si userà il role-play
presentazione del role play
assegnazione dei ruoli
attività

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